Incontri Giovani - Fondazione Natuzza

Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime




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Incontri Giovani

News
Cenacolo dei giovani aprile 2017
 Alzati, va’ e non temere!   
Io sono una missione
Nella seconda domenica di Pasqua, domenica in Albis, si è tenuto il penultimo incontro dei giovani per quest’anno pastorale. Padre Michele Cordiano, dopo aver spiegato il significato di questa domenica, denominata da Giovanni Paolo II della Divina Misericordia, è entrato nel tema della giornata: Alzati, va’ e non temere! Io sono una missione.
 
Il concetto principale di questa espressione sta nell’invito che il Signore rivolge e ognuno di noi, così come fece al profeta Giona (Gn, 1,2), a diventare missionari ed evangelizzatori. “Dio è sempre con noi – ha ricordato il padre spirituale di Natuzza Evolo –, il Signore opera nella nostra debolezza, sta sempre al nostro fianco. Non dobbiamo preoccuparci delle nostre poche forze o se nel cammino esse vengono meno perché Egli sta costantemente al nostro fianco per sostenerci, soprattutto nelle difficoltà e nelle amarezze. Chi scopre Dio, chi si mette al servizio di Gesù si accorge che dentro di sé cresce pian piano, e in maniera sempre più coinvolgente, il desiderio di evangelizzare pontando la Buona Notizia ai fratelli; perché il sentirsi amato da Dio dà quella gioia che deve essere condivisa con gli altri. Le parole che Dio rivolge al profeta Giona sono oggi destinate ad ognuno di noi, perché tutti siamo coinvolti in questa opera di missione. “Io sono una missione”, e non semplicemente “io ho una missione”: rispondere alla chiamata di Cristo porta con sé una dimensione missionaria. “Alzati, va’ e non temere”, ci ricorda la nostra identità che è la nostra missione”.
 
La missione al cuore del popolo – ricorda Papa Francesco nell’Evangelii gaudium (273) – non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare”.
 
“Ciò – ha continuato padre Michele Cordiano – implica coraggio, significa fidarsi di Dio che scommette su ciascuno di noi perché sa che, se anche possiamo cadere, Lui è pronto a sostenerci e rialzarci. È Dio che ci dà la forza di seguirlo, l’essere coraggiosi perché pieni di Spirito Santo. Lungo il cammino non siamo soli, Cristo ci affianca, fa la strada insieme a noi e ci chiede solo di fidarci di Lui”.
 
La testimonianza della giornata è stata offerta da don Salvo Arnone, parroco della chiesa di San Giuseppe a Cassibile. Don Salvo proviene dall’esperienza presso il Santuario della Madonna delle Lacrime; precedentemente è stato parroco nella chiesa di Bosco Minniti a Siracusa, a Cassaro e nella chiesa di San Giacomo ai Miracoli a Siracusa. Ha ricoperto in passato l’incarico di cappellano della Polizia di Stato a Siracusa e si è fatto promotore della nascita del gruppo Frates di Cassibile. Nel suo mandato sacerdotale è stato molto vicino alle comunità di tossicodipendenti.
 
Don Salvo ha puntato l’attenzione su quanto “l’uomo abbia bisogno di relazioni. Ognuno di noi è per l’altro e proprio l’altro ci aiuta a rivelarci la nostra stessa identità e la nostra missione. Non bisogna fermarsi al ‘ primo livello ’ quando si conosce qualcuno; è necessario sapere ascoltare e non giudicare sommariamente e ringraziare – così come diceva mamma Natuzza – chi ci permette di fare il bene e quindi di santificarci; i profughi, per esempio, – ha ricordato don Salvo – grazie alla loro presenza ci permettono di diventare ospitali, di essere accoglienti; grazie alla loro presenza noi riusciamo a fare qualcosa di positivo e come Dio che si è svuotato della sua divinità per farsi “schiavo” del genere umano anche noi dobbiamo svuotarci delle nostre zavorre intrise di peccato per  sostenerci gli uni gli altri”.
Cenacolo dei giovani marzo 2017
 
Io c’ero
 
Il Cenacolo dei giovani di marzo, tempo di Quaresima, ha meditato i misteri dolorosi del Rosario rivivendo i momenti significativi della sofferenza di Gesù, dall’angoscia del Getsemani fino ai piedi della croce.
Io c’ero è stata la tematica sviluppata nell’incontro, prendendo spunto da un lavoro teatrale che dà voce in prima persona a chi visse gli ultimi momenti della vita di Gesù, il Giusto condannato in maniera iniqua.
Le voci dei protagonisti si avvicendano in semplici ed efficaci monologhi offrendo il loro originale punto di vista pieno di tante sensazioni: dolore, affetto, sofferenza, meschinità, in un contesto di vita unico e irripetibile scandito dal dolore del Figlio di Dio che si dà per la salvezza dell’umanità.
Personaggi storici (Giuda, Pietro, Caifa, Pilato, Simone di Cirene, le donne di Gerusalemme, la Madre, Giovanni, il malfattore, il centurione, Maria di Magdala), personaggi di ieri ma che oramai sono per sempre, i cui gesti e parole hanno assunto un significato universale. Al centro di tutto l’Uomo- Dio e la sua croce. E sotto quella croce, ai piedi degli spasimi del Cristo, c’è ogni uomo, ognuno con la propria storia e il proprio bagaglio.
Io c’ero, sì. Quella notte nell’Orto degli Ulivi accanto ai discepoli, dopo che Tu mi hai lavato i piedi nel cenacolo e hai annunciato la tua morte imminente. Ero lì a vederti piangere e sudare sangue, senza capire quel tuo dolore per la nostra salvezza.
Avrei voluto inginocchiarmi accanto a te, sulle pietre aguzze, asciugare il tuo sudore di sangue, accarezzare il tuo volto sconvolto, implorarti di fuggire lontano, di metterti in salvo dalla crudeltà degli uomini, ma ti ho sentito dire: "Non sia fatta la mia, ma la tua volontà, Padre"!
Il peso di queste parole è stato troppo grande, per me: ti ho lasciato solo, mi sono allontanato e ho dormito, insieme ai tuoi apostoli.
Ti ho lasciato solo!
C’ero anch’io, Signore Gesù, quel mattino, nel pretorio di Pilato!
Ero lì, e sentivo la folla rumoreggiare, fuori; erano come impazziti, tanto da scegliere, urlando, la liberazione di Barabba e la tua condanna.
Ero lì, quando i soldati ti legavano alla colonna; ero lì, quando i flagelli incidevano la tua carne, quando la tua schiena si inarcava per il dolore atroce. Avrei voluto strappare di mano ai soldati quelle fruste che si accanivano sulla tua carne innocente, avrei voluto liberare quelle tue mani che avevano portato sollievo a tante persone, avrei voluto gridare la mia rabbia per tanto strazio, ma non ho saputo fare altro che rintanarmi in un cantuccio nascosto: ho avuto paura di svelare apertamente il mio amore per te, avevo paura di essere riconosciuta come tua sorella, tua amica e mi sono nascosta.
Ti ho lasciato solo!
 
C’ero anch’io, Signore Gesù, quel mattino, nel cortile del pretorio, quando Pilato ti consegnò ai soldati per la crocifissione!
 
Ero lì, quando l’intera coorte iniziò a torturare il tuo corpo martoriato dalla flagellazione. Ti rivestirono di porpora e, intrecciata una corona con pungentissime spine, te la conficcarono nel capo, profondamente; si inginocchiavano davanti a te, uomo dei dolori, dicendoti: "Salve, re dei Giudei!", e ti sputavano addosso e continuavano a percuotere il tuo corpo straziato.
Ti ho lasciato solo!
C’ero anch’io, Signore Gesù, quando, carico della croce, percorrevi la via che portava al luogo del supplizio.
Ero lì, quando cadevi sotto il peso di quel legno! Avrei voluto togliertelo di dosso, asciugarti il volto come ha fatto la Veronica, offrirti dell’acqua, gridarti il mio dolore. Invece, non ho trovato il coraggio di farmi riconoscere; ho preferito assistere al tuo martirio senza compromettermi troppo.
Ti ho lasciato solo!
C’ero anch’io, Signore Gesù, quando i colpi del martello risuonavano nell’universo e il Figlio di Dio veniva inchiodato ad una croce, tra due malfattori. Ero lì, quando, ormai allo stremo, trovavi la forza di perdonare i tuoi carnefici "perché non sanno quello che fanno": così hai detto!
Ero lì, quando hai consegnato tua Madre a Giovanni e Giovanni a tua Madre; c’ero anch’io, in quella consegna; c’ero anch’io, in quel perdono; c’era anche la mia salvezza, in quel "tutto è compiuto"!”.
Sì, ora tutto è compiuto, ma con speranza e certezza guardiamo avanti certi che quel tuo patire ci ha redenti e condotti alla salvezza eterna.
Cenacolo dei giovani febbraio 2017
 Dio a modo mio
Una ricerca presentata da p. Michele Cordiano promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul rapporto che hanno i giovani con la fede, le loro credenze e i loro atteggiamenti nei confronti della religione, ha visto la partecipazione di centocinquanta giovani, ragazze e ragazzi tra i diciannove e i ventinove anni, tutti battezzati, residenti in piccole e grandi località del Nord, Centro e Sud Italia, con diverso titolo di studio.
L’indagine, confluita nel libro Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, ha rivelato uno spaccato del mondo giovanile attuale ed è riuscita a far emergere quanto complesso e non per nulla superficiale sia il rapporto giovani-fede nell’epoca odierna.
I giovani hanno svelato un interessante frammento di questa intima dimensione della vita, con le sue luci e le sue ombre; dallo studio è emerso come questa loro fede abbia bisogno di essere sostenuta, fatta crescere e alimentata da sani testimoni.
“Per l’introduzione alla vita cristiana - ha spiegato Rita Bichi - intervistata per il settimanale Famiglia Cristiana da Antonio Sanfrancesco, è decisiva la famiglia che ne orienta il percorso di fede attraverso la tradizionale iniziazione (Battesimo, Prima Comunione e Cresima). Subito dopo la Cresima, c’è un distacco che è quasi fisiologico e riguarda la stragrande maggioranza. Intorno ai venticinque anni c’è un possibile ripensamento. L’idea di Dio? Personalizzata, fai da te, di proprietà del singolo. La fede deve incidere sulla vita concreta e sui rapporti con il prossimo altrimenti non ha senso. Inoltre, non si conosce bene la dottrina come, ad esempio, la differenza tra “Cristianesimo” e “Cattolicesimo”. Il primo è considerato sinonimo di bontà, vicinanza agli altri, amore per il prossimo e assume una valenza sociale, mentre il secondo è percepito come sinonimo di “istituzione”. I cattolici invece  sono percepiti come “bacchettoni”. Papa Francesco, infine, è considerato come una sorta di “salvatore” della religiosità e della Chiesa.
La ricerca mette in evidenza l’esistenza di un percorso di fede largamente maggioritario e che viene definito standard. I giovani che appartengono a questo segmento si definiscono cattolici in ricerca. Poi sono emersi altri quattro profili che si discostano da quello standard. Il primo riguarda atei e non credenti («che non sono molti e sono divisi tra loro», precisa Bichi) ed è caratterizzato da un distacco traumatico e da un riavvicinamento impossibile. Il secondo riguarda i cosiddetti critici in ricerca e agnostici dove la pratica è assente, il distacco è stato di tipo intellettuale, il riavvicinamento possibile. Il terzo ancora su atei e non credenti dove il riavvicinamento non è ricercato. Al quarto profilo appartengono i cattolici convinti dove i distacchi sono assenti e irrilevanti, i riavvicinamenti già compiuti e non problematici.
La ricerca smentisce diversi luoghi comuni e dimostra piuttosto che non è affatto possibile parlare di una generazione incredula o, peggio, senza Dio e senza valori.
Smentito anche il vecchio cliché “Gesù Cristo sì, Chiesa no”. «In realtà la situazione è più complessa», dice Bichi, «le questioni dottrinali non solo non riescono ad arrivare ai giovani come messaggio ma non fanno emergere in primo piano neppure la figura di Gesù. Il linguaggio di chi comunica con loro dovrebbe cambiare o avvicinarsi di più al mondo giovanile e questo a volte la Chiesa non riesce a farlo». Il ruolo della famiglia, infine, è fondamentale all’inizio e poi scompare.
Che fede emerge, dunque, da quest’indagine? chiede Antonio Sanfrancesco. «Una fede che c’è ma che ha bisogno di crescere», afferma la professoressa Bichi, «o meglio: che sarebbe necessario far crescere. Come un germoglio che fa fatica a fiorire».
Dai giovani, al giovane francescano fra’ Gaetano Pantisano, frate minore d’origine crotonese, che nella testimonianza pomeridiana ha raccontato l’incontro con il Signore dopo un’adolescenza travagliata passata dall’esperienza della strada, con tutte le sue diverse sfaccettature, all’uso di sostanze stupefacenti, alle delusioni e alle sfiducie adolescenziali, fino alla “scoperta della luce, grazie ad un’amica che regalandomi un libro sulle fonti francescane mi ha aperto un mondo nuovo; in quelle pagine ho scoperto le tracce di una rivoluzione. Un mondo, quello di Francesco d’Assisi, tanto simile al mio: lui da re delle feste a giullare di Dio, io da re del vizio, tale era la mia vita all’epoca, alla scoperta che il Signore mi amava e mi invitava a scoprire me stesso ricercando Lui.
Ho capito che il vero sogno non è essere qualcuno agli occhi degli altri, ma i nostri sogni devono “inserirsi” in quelli degli altri, anche attraverso la sopportazione delle nostre croci che tanto ci avvicinano a Cristo e ci fanno scoprire la vita come dono prezioso. Fino al mio “sì” definitivo al Signore pronunciato a Paravati, in una Festa della Mamma, quando vidi gli occhi di Mamma Natuzza innestarsi nello sguardo del Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime che entrava nella Villa della Gioia. Mi sono “intromesso” in quello sguardo chiedendo sostegno e pronunciando la mia adesione totale a Dio, il mio abbandonarmi completamente ai suoi disegni convinto di avere trovato la vera strada”.
Cenacolo dei giovani gennaio 2017
 L’amore vince sempre
È Cristo l’Amore per eccellenza, l’Amore datosi all’Uomo per la sua salvezza e la faccia che più assomiglia a Cristo è senza dubbio Maria. «La “donna vestita di sole” - ha scritto papa Benedetto XVI - è il grande segno della vittoria dell’amore, della vittoria del bene, della vittoria di Dio. Grande segno di consolazione. Ma poi questa donna che soffre, che deve fuggire, che partorisce con un grido di dolore, è anche la Chiesa perché in ogni tempo essa deve partorire Cristo e portarlo al mondo, perseguitata, con grande dolore. Ma in tutte le generazioni la Chiesa, il Popolo di Dio vive anche della luce di Dio e viene nutrito di Dio col pane della Santa Eucaristia. E così, nonostante le persecuzioni, le sofferenze, la Chiesa soffrendo vince ed è la presenza, la garanzia dell’amore di Dio contro tutte le ideologie dell’odio e dell’egoismo». Il dolore può diventare “opportunità quindi, l’occasione che fa scegliere all’uomo tra la via dell’odio e quella dell’amore...”; il dolore, la sofferenza è come perdere un po’ se stessi, ma è quel “perdersi che in realtà è l’unico cammino per trovarsi veramente, per trovare la vera vita”.
 
 
È Cristo l’amore per eccellenza - ha spiegato nella lectio p. Michele Cordiano - e vuole che tutti siamo riempiti di bene. Il “Comandamento nuovo” di Gesù riconduce all’amore che ci si dà scambievolmente. È l’unica volta nel vangelo di Giovanni (13, 21-38) che il Maestro “impone un comando”: vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri; ma più che un “comando” è un donarsi e non è tanto l’amore (umano) che ci fa incontrare Cristo, ma è la nostra “adesione a Lui” che ci fa entrare nel mistero dell’amore. Ciò che è tipico e specifico del cristianesimo è quanto si legge nelle sacre Scritture, che fanno discendere il nostro amore a Dio e al prossimo da un evento assoluto e incondizionato, precedente ogni nostra possibile iniziativa e determinante ogni nostra più audace risposta: è l’evento libero e gratuito dell’amore di Dio verso di noi. “Come io ho amato voi”. Quel “come” ci dice poi che la misura dell’amore di Gesù per noi è un amore senza misura… e così come gratuitamente abbiamo ricevuto amore così dobbiamo fare anche noi verso i fratelli.
 
 
Dare amore ai fratelli… perché l’amore vince sempre così come è emerso nell’incontro-testimonianza pomeridiano alla presenza di alcune realtà associative presenti sul territorio calabrese dedite all’impegno verso i più diseredati e bisognosi.
 
Emergency è un’associazione italiana indipendente e neutrale, nata nel 1994 per offrire cure medico-chirurgiche gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà; promuove una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Il suo impegno umanitario è possibile grazie al contributo di migliaia di volontari e di sostenitori e si conta che dalla sua nascita a oggi, Emergency abbia curato oltre 8 milioni di persone. In Calabria l’associazione è ospitata in un palazzo confiscato alla ’ndrangheta a Gioia Tauro e offre cure e assistenza gratuita ai braccianti agricoli della Piana provenienti dall’Africa e agli immigrati arrivati attraverso gli sbarchi, distribuendo oltre agli aiuti sanitari anche cibo e vestiti.
 
Il camper della speranza “on the road” di Crotone progetto di solidarietà basato interamente su forze volontarie si reca per le vie della città per tendere la mano alle persone che si trovano in una posizione di marginalità, anche mediante la distribuzione di beni di prima necessità. La strada rappresenta il luogo dove al tempo stesso si consumano gli innumerevoli drammi delle nostre città ed i sogni e le speranze individuali e collettive. Per strada ci si incontra, ci si cerca, ci si confronta, ci si conosce; ma parimenti si può essere soli, vivendo situazioni di emarginazione estrema alla quale, giocoforza, si risponde con atti estremi il più delle volte distruttivi ed autodistruttivi. Verso quest’emarginazione, questo degrado così palpabile il Camper della speranza ha iniziato a camminare “in silenzio, con semplicità” distribuendo pasti caldi la sera ma soprattutto dimostrando attenzione verso queste marginalità.
 
La Cooperativa “Valle del Marro” affonda le radici più lontane nelle storie di alcuni giovani che in famiglia, nell’associazionismo, nel cortile dell’oratorio, maturano la scelta di combattere la mentalità mafiosa. Successivamente, cogliendo l’opportunità offerta dalla legge 109/96 e da un progetto di Libera quel gruppo dà vita nel 2004 alla “Valle del Marro – Libera Terra”, accomunando nel lavoro cooperativo idee, passioni e competenze, per metterle a frutto, con spirito pionieristico, sui terreni agricoli confiscati alla ’ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro. Per la gente, la scelta imprenditoriale di quei giovani incarnò all’inizio l’azzardo dell’utopia. Era invece il fiducioso tentativo di dimostrare che il cambiamento è possibile ovunque, purché ci siano coraggio d’iniziativa, da un lato, e reti di sostegno, dall’altro. Sfidando le ritorsioni della mafia, che in più di un’occasione colpisce mezzi agricoli e coltivazioni, la Valle del Marro riesce a segnare in pochi anni importanti traguardi nel settore agro-biologico, consolidati nel tempo anche da incoraggianti segnali di cambiamento culturale nella comunità. L’impegno porta la cooperativa a realizzare azioni formative nelle scuole e ad avviare, nei tempi più recenti, percorsi di turismo che instaurano “rapporti di reciprocità” tra i visitatori e un territorio che vuole ridisegnare il proprio volto. Oggi il tenace lavoro della cooperativa sui beni confiscati alla mafia, è fonte di prodotti biologici e di servizi turistici etici, ed è di forte stimolo per uno sviluppo economico sano del territorio, che coinvolge i cittadini tramite scelte di consumo responsabile. L’uso sociale dei beni confiscati alla mafia si conferma così come un modo esemplare per “tracciare una via” di crescita e d’impegno, che nel tempo a venire dovrà essere percorsa e prolungata da tutti, nella comune ricerca di un reale riscatto sociale ed economico.
 
Il Centro polifunzionale Padre Pino Puglisi di Polistena (Rc) è un centro nato fra le mura di un palazzo confiscato alla ’ndrangheta e riassegnato alla parrocchia di don Pino De Masi, ristrutturato grazie al contributo di Fondazione con il Sud, della Fondazione “Il Cuore si scioglie” ed Enel Cuore. Lo stabile ospita il poliambulatorio di Emergency ed ha al suo interno un centro di aggregazione giovanile in particolare attento alla socializzazione con i figli degli immigrati, i figli dei carcerati specialmente figli di mafiosi con l’ambizione di costruire un tessuto sociale diverso, migliore, più buono e onesto. All’interno del centro fanno parte anche l’ostello “Giovanni Laruffa” che serve ad accogliere i ragazzi che ogni estate vengono per partecipare ai campi di lavoro in collaborazione con Libera, una bottega alimentare per la vendita dei prodotti ricavati dalle terre confiscate e uno sportello sui diritti dei cittadini.
 
 

Cenacolo dei giovani dicembre 2016
 
...Gli uni gli altri
...gli uni gli altri è stata la tematica che ha guidato il cenacolo dei giovani di dicembre. Nella mattinata della giornata di formazione si sono avvicendati diversi interventi coordinati da don Danilo D’Alessandro in una tavola rotonda da titolo Germi di futuro per la nostra terra. Hanno preso parte Massimiliano Capalbo, Stefania Mandaliti, i volontari dell’Operazione Mato Grosso, Marinella della Cooperativa Sociale ECOS di Maierato partecipando ognuno la propria esperienza ed evidenziando quali a loro dire potrebbero essere le caratteristiche per il rilancio della nostra Regione.
 
Capalbo ha sottolineato l’importanza  del coraggio imprenditoriale come riscatto sociale in un ambiente spesso pervaso da tanta apparenza. “Siamo stati i primi in Calabria – ha ricordato Capozzi – a costruire un Parco Avventura in Sila valorizzando le diverse risorse che risiedono nei nostri territori; siamo partiti dal nulla con in mano solo un’idea che pian piano abbiamo fatto diventare realtà. Ogni persona possiede un talento, è necessario farlo emergere mettendolo a frutto, prendendo esempio da mamma Natuzza che ha preferito incarnare l’amore, senza pensare di predicarlo solamente, piuttosto lo ha vissuto, al contrario di tanti che ostentano e non fanno, predicano e non conoscono nel profondo. Lei che è stata guidata dall’Alto e che con Gesù e Maria è vissuta quotidianamente ha saputo mantenere saldo il proprio impegno. Viviamo in una società che cerca di convincere gli altri a cambiare, senza saper rispettare le peculiarità altrui; bisogna invece diventare esempi per il prossimo così da farsi modelli positivi”.
 
È seguito l’intervento di Stefania Mandaliti presidente del centro Ascolto Stella del Mare di Catanzaro. “Il Centro – ha espresso la pedagogista – ha diversi campi di intervento: da quello preventivo a quello educativo, formativo, scolastico e criminologico ponendo un’attenzione particolare al mondo dei bambini. Cerchiamo di individuare situazioni di rischio e difficoltà individuali o familiari approfondendo le problematiche e avvalendoci della competenza di esperti nei vari settori. Il tutto offrendo spazi di incontro, di formazione e aggiornamento per una quanto più possibile proficua e profonda collaborazione con i soggetti più deboli e bisognosi di attenzione. Inoltre, il Centro favorisce lo sviluppo di una rete di solidarietà capace di fornire aiuto ed appoggio alle famiglie in condizioni di disagio”.
 
Hanno continuato il confronto i volontari dell’Operazione Mato Grosso il movimento di volontariato educativo missionario fondato nel 1967 da padre Ugo De Censi che attraverso il lavoro gratuito per i più poveri offre a giovani e ragazzi la possibilità di numerose esperienze formative. “Per mezzo del lavoro – hanno espresso nel loro intervento i volontari – i giovani intraprendono una strada che li porta a scoprire ed acquisire alcuni valori fondamentali per la loro vita: la fatica, il “dare via” gratis, la coerenza tra le parole e la vita, lo spirito di gruppo, il rispetto e la collaborazione verso gli altri, la sensibilità e l’attenzione ai problemi dei più poveri, lo sforzo di imparare ad amare le persone. L’OMG è il luogo dove far crescere la vocazione ad Amare, il luogo dove si scopre che il senso della vita non è ciò che propone il mondo, dove tutti fanno a gara per soprassedere sull’altro; l’OMG insegna invece a donarsi gratuitamente, anzi a “spendere” del proprio affinché altri possano stare meglio”.
 
Ha concluso la mattinata degli interventi Marinella della Cooperativa ECOS. “La cooperativa sociale – ha affermato – nasce a Vibo Valentia nel 2004 dalle file del Progetto Policoro sostenuta dall’esigenza di alcuni professionisti che hanno pensato di creare una realtà autonoma e professionale, al fine di garantire dei servizi di qualità al territorio regionale.
 
E.C.O.S ha deciso quindi di mettere in rete le proprie professionalità per creare una serie di iniziative volte a migliorare i vari ambiti sociali e culturali. È composta da psicologi, educatori, pedagogisti, counselor, animatori di comunità in grado di rispondere a bisogni specifici. Collabora con vari enti ed Istituzioni del territorio nell’ambito del sociale.
 
Si è strutturata attraverso la forma giuridica della cooperativa a mutualità prevalente che garantisce un servizio alla persona, vista come fine del nostro agire e non come mezzo. Si ispira ai valori della tradizione cristiana e della grande tradizione di pensiero del personalismo comunitario.
 
La cooperativa ha diverse aree di intervento. Da quella educativa facendo consulenza e corsi di formazione, master, seminari, Workshops; l’Area Counseling con interventi inoltre di Psicodiagnostica e Psicoterapia; l’Area Orientamento attraverso un Osservatorio sulle politiche giovanili, l’Orientamento formativo, lavorativo e psicologico; l’Area Sviluppo che insiste su lavori di Progettazione, Animazione, Gestione di Centri di Aggregazione Sociale e di Comunità e inoltre organizzazione di viaggi a sfondo religioso e culturale”.
 
Durante la sessione pomeridiana della giornata i giovani hanno preso parte alla celebrazione eucaristica presieduta da p.Michele Cordiano. Il sacerdote, che per quasi vent’anni ha vissuto fianco a fianco a Natuzza raccogliendone le confessioni e la sua unica straordinaria esperienza di fede e di dedizione a Gesù e alla Madonna con i quali quotidianamente interloquiva, ha ripreso nella sua omelia il tema dell’incontro: gli uni gli altri rifacendosi al passo del vangelo di Giovanni (13, 1-15) sulla lavanda dei piedi. “Il gesto della lavanda dei piedi – ha espresso il sacerdote – nella cultura del tempo era considerato un atto di sudditanza: lo faceva lo schiavo o il servo al padrone, il discepolo al maestro, la moglie al marito… Gesù ribalta questa consuetudine, si pone lui in ginocchio e lava i piedi ai discepoli e dopo essersi cinto i fianchi con il grembiule si abbassa per innalzare gli altri; nel compiere l’umile gesto non guarda dall’alto in basso ma dal basso in alto: è la posizione strategica dell’amore, che si dona senza mezze misure. È l’amore che desidera ardentemente tradursi in servizio. Ed è proprio qui che Pietro reagisce comprendendo che il gesto fatto dal Maestro abolisce ogni organigramma, ogni disuguaglianza. Alla scuola di Gesù, il Maestro non si pone al di sopra del discepolo ma piuttosto accanto per aiutarlo e sostenerlo a compiere azioni di servizio d’amore per tutti”.
Cenacolo dei Giovani Ottobre 2016
Ascolta il silenzio
Con il cenacolo di ottobre è iniziato il nuovo anno pastorale dedicato ai giovani dalla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime. In questo primo momento formativo si è tracciato il filo tematico che sarà svolto da ottobre 2016 a giugno 2017.
L’argomento fondante sul quale si svilupperanno i diversi incontri mensili prende spunto dal vangelo di Luca (22,7-13) quando, alla domanda dei discepoli: dove vuoi che prepariamo per la Pasqua? Gesù rispose: preparate in quella sala al piano superiore (v.12).
La sala al piano superiore è il Cenacolo di Gerusalemme, il luogo dove sono accaduti alcuni dei fatti più significativi della storia della Chiesa: l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli e l’istituzione dell’Eucaristia principalmente, ma anche il corollario di tutto quanto accadde quella sera: la discussione su chi tra i discepoli fosse il più grande; la lavanda dei piedi; l’annuncio del tradimento di Giuda; il comandamento nuovo (amatevi gli uni gli altri); l’annuncio del rinnegamento di Pietro; il discorso di addio e la preghiera sacerdotale di Gesù.
Dopo la Passione e la morte del Signore, i discepoli si nascosero nel Cenacolo, in quella sala al piano superiore, e colti dalla paura e dall’angoscia discutevano e rivivevano in cuor loro l’esperienza terrena con Gesù.
In quella sala, al piano superiore, lo vedranno risorto in due occasioni; là torneranno dopo l’Ascensione e proprio lì riceveranno lo Spirito Santo. Da quel luogo inizierà la missione della Chiesa da Gerusalemme verso tutto il mondo.
«La Chiesa ha un rapporto particolare con il Cenacolo – ha spiegato padre Michele Cordiano nella lectio mattutina – qui è nata la Chiesa, ed è nata in uscita. Da qui è partita, con il Pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi e lo Spirito d’amore nel cuore. È il luogo, in fondo, dove si svolge tutto il mistero principale della fede: l’eucaristia, la morte e resurrezione di Gesù, il dono dello Spirito, la comunità, la missione, cioè il luogo centrale della fede.
Ma quella sala al piano superiore si può ben paragonare ad un altro spazio… uno spazio che risiede in ogni persona… è il nostro essere più profondo ed è talmente grande che contiene Dio, se stessi e gli altri. Diventa necessario per il cristiano fare una scelta: passare dall’apparire all’essere; non operare per essere “lodati” o “visti”, ma agire, pregare, “fare nel segreto” laddove solo Dio è in grado di scrutare. Se il nostro cuore non si dilata non saremo in grado di accogliere nessuno, mentre il cuore può essere invece anche più grande del mondo».
Un cuore che diventa “luogo”, dove poter fare vera comunità, che significa andare oltre le apparenze, sapendo cogliere dell’altro il segreto delle sue profondità che necessariamente non sono le nostre, facendo dell’altro te stesso così da divenire complementari, godendo delle gioie altrui e patendo se l’altro soffre, non sminuendo ma lodando… semplicemente Amare. È solo con l’amore che possiamo trasformare la nostra vita malconcia in vita secondo lo Spirito, quello Spirito Santo che ci fa Figli nel Figlio rendendoci cristoformi.
Prima della celebrazione eucaristica, nel pomeriggio, si è tenuta la testimonianza della giornata da parte di Michele Sciancalepore giornalista di TV2000. Nel suo intervento, l’autore e conduttore della rubrica Retroscena, ha raccontato del proprio percorso di fede anche alla luce delle personali esperienze lavorative.
«Nelle diversificate proposte delle reti televisive italiane, diverse per impostazione e contenuti, TV2000 – ha dichiarato Sciancalepore – si distingue perché nata come mezzo di evangelizzazione, lungi dal fare proselitismo, ma per portare i valori del cristianesimo nelle case della gente».
Incontro Giovani Giugno 2016
 
Semi di misericordia
Si sono conclusi con l’appuntamento di giugno, dal tema Semi di Misericordia, gli incontri mensili di formazione per i giovani organizzati dalla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime. Nell’ultimo momento dell’anno pastorale 2015/16 – padre Michele Cordiano – ha approfondito la tematica soffermandosi sul passo del Vangelo di Giovanni: cap.12, 20-26.
 
Al tempo di Gesù erano chiamati greci coloro che non erano ebrei, gente anche di altre nazioni oltre che greci veri e propri. Qualcuno di questi si avvicina ai discepoli ed avanza una richiesta specifica: «vogliamo vedere Gesù». Filippo ed Andrea vanno allora da Gesù e questi risponde: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».
 
Alla perplessità dei discepoli, Gesù vede la possibilità di spiegare ancora una volta qual è la sua vera missione; vede in quella richiesta un’anticipazione del suo dominio spirituale sul mondo intero. Egli propone se stesso come quel seme di grano che per fruttificare deve prima morire e Gesù da lì a poco tempo davvero morirà sulla croce …se volete vedermi, guardate la croce – pare voglia anticipare ai greci del tempo, ai suoi discepoli, dire a noi oggi.
 
Ma Cristo è morto sul Golgota non per invitarci a rinnovare nella nostra vita la sua passione; al suo morire è corrisposta a noi la vita. Il grano che muore genera un’azione vivifica: l’azione principale, lo scopo verso cui tutto converge, il verbo che regge l’intera costruzione è “produrre”, ancora più caratterizzante, perché ognuno di noi è chiamato nella propria esistenza a produrre, concepire, generare il bene. Morendo al peccato, piuttosto, che offusca il nostro vivere e distoglie le nostre azioni dalla via dell’Amore.
 
Tante persone hanno speso la loro vita generando e producendo frutto in abbondanza. Alcuni sono stati ricordati nell’incontro di formazione.
Padre Manuel Garçia Viejo.
Sacerdote spagnolo morto di ebola dopo essere stato rimpatriato dalla Sierra Leone, apparteneva all’Ordine di San Giovanni di Dio. Missionario in Africa da oltre trenta anni aveva lavorato come direttore medico, senza risparmiarsi nella cura dei “suoi” pazienti a rischio della propria salute. È stato impressionante vedere la quantità di persone che sono venute a salutarlo prima che rientrasse per la Spagna: i pazienti lo amavano, i bambini lo seguivano, tutti lo conoscevano e lo amavano perché era sempre disponibile per gli altri. Padre Manuel ha insegnato che era molto più importante guardare negli occhi dei pazienti che gestire un bisturi. Un suo amico ateo racconta: “le persone che credono dicevano che era un santo. Ha sempre voluto tornare in Africa; nonostante i 69 anni, la malaria e la malattia al cuore non gli impediva di camminare per più di 10 chilometri al giorno” spendendo la propria vita per gli altri.
Ernesto Olivero.
Campano, a ventiquattro anni, il 24 maggio 1964 fonda il Sermig (Servizio Missionario Giovani) insieme alla moglie Maria Cerrato, conosciuta organizzando le Giornate Missionarie Mondiali, e ad alcuni amici giovani, coppie di sposi, monaci e monache; inizia ad impegnarsi a fianco dei poveri e degli emarginati di Torino, sua città di adozione, seguendo l’insegnamento del Vangelo. Ha come obiettivo la realizzazione di un grande sogno: Eliminare la fame e le grandi ingiustizie nel mondo, costruire la pace, aiutare i giovani a trovare un ideale di vita, sensibilizzare l’opinione pubblica verso i problemi dei poveri del terzo mondo. Il 2 agosto 1983 Olivero ottenne in gestione a Torino un vecchio Arsenale militare, situato in Borgo Dora. Nacque l’Arsenale della Pace, struttura che attualmente si estende per circa quarantamila metri quadri. Da allora l’Arsenale, definito “un monastero metropolitano”, ha dato assistenza a immigrati, tossicodipendenti, alcolizzati, malati di AIDS e senza tetto nell’ordine delle centinaia di migliaia. Negli anni novanta i giovani dell’Arsenale hanno dato vita al movimento Giovani della Pace. In seguito Olivero ha aperto l’Arsenale della Speranza a San Paolo (Brasile) nel 1996 e l’Arsenale dell'Incontro a Madaba, in Giordania, nel 2003.
Padre Ugo de Censi.
Nel 1967 ha fondato un movimento di volontariato tra i più noti d’Italia: l’Operazione Mato Grosso; una realtà formalmente aconfessionale, ma nella quale sono confluiti migliaia di giovani cattolici, che si impegnano a servizio dei poveri e dei minori dell’America Latina. Dei primi venti ragazzi volati in Brasile ad aiutare Padre Pedro Melesi, l’OMG è passata a novanta missioni in tutti il Sudamerica e circa duemila volontari in Italia. Tra le esperienze “sessantottine” è una di quelle che continua con maggior vitalità. Nel 1979 aprì la prima scuola d'intaglio del legno dove gli alunni ricevono istruzione, formazione professionale, vitto e alloggio. Gli allievi vengono accolti, dopo essere stati scelti tra molti candidati, in considerazione della povertà della famiglia e della bontà del ragazzo. La scuola dura 5 anni, secondo quanto previsto dai programmi delle scuole superiori. Il governo riconosce questi studi e alla fine rilascia agli alunni la qualifica professionale d’intagliatori del legno. Alla fine del 2007 i Talleres sono molti e contengono circa 800 ragazzi. Vista la buona riuscita del progetto Padre Ugo creò altre scuole ma di stampo femminile. Oggigiorno 400 ragazze sono ospitate in questi centri di formazione.
Quanto alla testimonianza di fede, va ricordato che l’OMG ha dato alla chiesa due martiri: il volontario laico Giulio Rocca ucciso nel 1990, e don Daniele Badiali, rapito e ammazzato 1997, entrambi sulle Ande peruviane. Padre Ugo ha 92 anni ma la vitalità intellettiva di un giovane e continua a “sfornare” iniziative, progetti a medio e lungo termine. Uno dei suoi “motti”: a Dio ci arrivi con il lavoro, con la fatica, con le gambe, con le mani e con i piedi, camminando, donando la vita!
 
Nel pomeriggio si è avuto infine, prima della celebrazione eucaristica, l’incontro/testimonianza con don Luigi Ciotti fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera.
Nel suo intervento don Ciotti ha esordito dicendo di essere felice di questo momento. Cari amici sono venuto volentieri qui a Paravati. Voglio condividere quello che sento dentro e quello che è stato il mio percorso, la mia storia. Ognuno ha la sua strada, il suo percorso lungo il quale incontra volti, storie, gruppi, domande, provocazioni, speranze. Oggi nella coscienza delle mie fragilità vi dico che non possiamo sempre attendere. La vita ci chiede di osare di più di avere più coraggio, tutti, ognuno nel proprio contesto. Abbiamo solo questa vita per impegnarci, per amare, per amarci, per accogliere, per riconoscere gli altri. La vera profezia di questo tempo è abitare questo tempo, oggi, vivendolo bene ma soprattutto abitarlo insieme. Il coraggio non si impara dalle grandi imprese ma dalle piccole cose e con un esercizio quotidiano di assunzione di responsabilità. E la prima responsabilità è guardarci nella nostra coscienza. Possibile che non ci sia una rivolta delle coscienze nei confronti delle mafie? Perché chi ha scelto il male venga messo ai margini, una rivolta delle coscienze che ha bisogno di una rivoluzione culturale, forte.
Questo si può fare attraverso la conoscenza che è la via maestra del cambiamento; c’è un grande peccato oggi: la mancanza di profondità; troppe informazioni di seconda mano, per sentito dire, il nostro dovere è quello di conoscere non fermandosi in superfice ma scendendo in profondità. Abbiamo oggi troppi cittadini a intermittenza a seconda dei momenti e delle emozioni, abbiamo bisogno di cittadini responsabili. È il “noi” che vince, ci vuole il coraggio di camminare insieme, che è fatto di umiltà. E il coraggio di camminare insieme non richiede eroismi ma generosità e responsabilità. Le mafie non sono figlie della povertà e dell’arretratezza ma di quella si avvalgono, quello è terreno fertile, che gli permette tutto. Corruzione e mafie nel nostro paese sono veramente le due facce della stessa medaglia: sono i parassiti che ci impoveriscono tutti. Dobbiamo unire le nostre forze, le forze degli onesti per diventare una “forza”, perché ci stanno rubando il “noi”. Oggi trovate un mare di persone che dice “noi” ma che continua a pensare “io” e questo è pericoloso perché è il “noi” che vince: fatto di umiltà, di passione, quella passione fatta di testa e di cuore, di ragione e di cuore, di fatica anche di sconfitte, anche di momenti dolorosi, di strada in salita ma noi oggi abbiamo bisogno di assumerci le nostre responsabilità per riuscire insieme e vincere.
 
Nel corso della giornata è stato inaugurato il Centro di Aggregazione Giovanile posto al piano terra del Centro Servizi alla Persona San Francesco di Paola, all’interno della Villa della Gioia, che ha lo scopo di sostenere iniziative a favore dei giovani a carattere ludico, formativo, culturale, sociale e religioso.

Incontro Giovani Aprile 2016
 
Va’ e anche tu fa’ lo stesso
 
 
L’appuntamento dei giovani del mese di aprile tenutosi nella prima domenica dopo Pasqua, festa della Divina Misericordia, è stato centrato sulla tematica: Va’ e anche tu fa’ lo stesso-Ama e dillo con la vita!
 
Ha introdotto la giornata padre Michele Cordiano che traendo spunto dall’episodio del brano evangelico inerente le nozze di Cana ha ricordato come Maria, Madre di Misericordia, vada sempre incontro all’uomo ed è costantemente attenta a tutti i bisogni e alle sofferenze dell’umanità. In questo passo, raccontato dall’evangelista Giovanni, si delinea la maternità di Maria come colei che ha cura di noi, grazie alla sua immensa capacità di amore.
 
Maria chiama l’uomo a mettersi sotto la potenza misericordiosa di Gesù: è la Madonna dell’Aiuto, cioè colei che ci ottiene l’aiuto di Cristo facendosi intercessione tra la potenza salvatrice di Dio e l’Uomo. Fa da mediatrice, nella posizione di madre consapevole, conoscendo i bisogni dei suoi figli e invita il Figlio, attraverso la sua potenza salvifica, a soccorrere l’umanità ancora oggi presa dalle indigenze, dalle sofferenze, dalle privazioni.
 
Nell’intercessione di Maria si sviluppa tutta la speciale protezione che ella ha verso il genere umano, si fa educatrice del popolo cristiano educandolo alla sequela di Cristo.
 
Ha continuato l’incontro don Giosy Cento, il sacerdote viterbese molto legato a Mamma Natuzza cantautore di oltre novecento testi liturgici, approfondendo il testo della parabola del buon samaritano; don Giosy, giunto a Paravati con alcuni gruppi pugliesi e calabresi appartenenti all’associazione da lui stesso fondata a favore dei genitori che hanno perso un figlio, quest’anno festeggerà il quarantesimo di carriera artistica.
 
«L’uomo oggi – ha espresso il sacerdote nel suo dialogo con i presenti fatto di parole e musica – vive tante contraddizioni. È necessario soffermarsi sul vero significato dell’esistenza, capire che Dio incessantemente ci ama e ci ricorda: Io sono il vostro vero amore, l’amore eterno, il centro della vostra vita. Io sono in ogni vostro respiro.
 
La società odierna ci dice piuttosto che si è stupidi ad essere buoni, disponibili, generosi, ad essere seguaci di Cristo. Bisogna invece ritornare alla semplicità di Dio come l’ha incarnata Mamma Natuzza, semplice ed obbediente al Signore, in tutta la sua vita, perché ciascuno è amato da Dio e quindi ha l’obbligo di produrre amore.
 
Mamma Natuzza ha fatto vivere l’amore di Dio portando la semplicità del Padre nelle nostre vite, ma soprattutto ci ha insegnato che il Signore è amore e misericordia. La felicità dell’uomo sta nell’allargare le dimensioni della propria vita attraverso l’amore e papa Francesco ci suggerisce una parola fondamentale: inclusione.
 
Chi maggiormente ha vissuto questa parola è stata proprio Mamma Natuzza che nella sua vita non ha mai escluso nessuno, accogliendo chiunque si fosse rivolto a lei. È stata una samaritana, che ha condiviso le sofferenze degli altri, fermandosi vicino ad ogni persona provata dal dolore. Come il buon samaritano è riuscita a guardare nel profondo di chi le si avvicinava, osservandolo con gli occhi del cuore, con gli occhi dell’amore, facendosi vicina agli altri con grandezza d’animo, così come coloro i quali per prima si sentono amati da Dio. Solo così si può dare amore agli altri.
 
E in questo scambio d’amore la delicatezza è fondamentale. Nell’amore non deve vincere l’istinto, la brutalità, l’uomo non deve farsi infatuare dall’erotismo, dal sesso. Deve essere nostra maestra la delicatezza, avvicinarci al fratello con rispetto, senza invaderlo.
 
Ciascuno di noi ha delle ferite – ha continuato il sacerdote viterbese –. Dio fascia le ferite del nostro cuore, le nostre croci, i fallimenti. Il Signore sa piegarsi su di noi con un amore pratico che guarisce le nostre miserie. E anche noi, come ci suggerisce papa Francesco, siamo chiamati ad attuare qualche opera di misericordia, sia materiale (dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti), che spirituale (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti).
 
Quale alunno che deve essere interrogato, sapendo su cosa sarà giudicato non si preparerà in maniera ottima? Così noi, sappiamo già qual è l’esame finale della nostra vita: Dio ci giudicherà sulle opere di misericordia compiute su questa terra. Prendiamo esempio da Mamma Natuzza che in tutta la sua esistenza ha vissuto appieno la misericordia di Dio verso i fratelli».
 
Don Giosy Cento ha voluto intervallare la propria catechesi con diversi brani musicali, alcuni dei quali racchiusi nel lavoro dedicato a Mamma Natuzza dal titolo: Non cercate me.

Incontro Giovani Marzo 2016
 
Io sono la porta
 
L’appuntamento mensile dei giovani svoltosi presso la Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime di Paravati per il mese di marzo ha avuto come tema: Io sono la porta, ripreso dalle parole dell’evangelista Giovanni (cap.10,9).
 
“Quell’Io – ha dichiarato nell’intervento della mattinata padre Michele Cordiano – sta per Dio, il Signore, per ricordare all’uomo quanto Egli è sempre pronto ad accoglierci, a chinarsi sulle miserie umane, per farci riconciliare con Lui. In particolare quest’anno, nell’occasione del Giubileo della Misericordia.
 
L’Anno Santo – ha continuato il sacerdote, Direttore della Fondazione e padre spirituale di Natuzza – è stato istituito da Papa Francesco per far bene imprimere al cristiano che non esiste peccato che Dio non possa cancellare; nonostante le nostre povertà, le nostre cadute, Gesù, viene sempre a cercarci. Come il Buon Pastore, il Signore, ricco di misericordia, va in cerca della pecorella smarrita e non smette di cercarla finché non la ritrova: sta accanto al peccatore finché non si redime e ritorna alla vita vera, perché il suo vero intento è caricarlo sulle sue spalle facendogli sentire il calore del suo amore, riconducendolo alla Sua casa. Gesù ci invita ad attraversare quella porta, che metaforicamente rappresenta Lui stesso (in un altro passo dirà ‘nessuno va al Padre se non attraverso di me’), il cui passaggio è sì stretto, ma conduce direttamente al cielo, alla salvezza e già su questa terra dà forza, pace e gioia.
 
Attraversare quella Porta significa allora essere pieni di Dio, farsi riempire della misericordia del Padre in maniera da espanderla nel nostro quotidiano, nei luoghi della nostra esistenza, rendendoci depositari del perdono così come noi stessi siamo stati perdonati”.
 
Il momento della testimonianza ha avuto come protagonista la tennista internazionale Mara Santangelo. Vincitrice di diversi tornei, Mara ha conquistato il titolo di Campione del Mondo a squadre (Fed Cup) nel 2006, arrivando in finale l’anno successivo. In coppia si è aggiudicata il torneo del Grande Slam del Roland Garros e piazzata in semifinale a Wimbledon nel 2007. Ha vinto gli Internazionali di Italia a Roma e raggiunto nel 2009 la semifinale agli Australian Open. Ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 rappresentando la squadra azzurra. Ha vinto gli Europei di Beach tennis prima dell’annuncio del suo ritiro dalla carriera agonistica, avvenuto il 28 gennaio 2011. Oggi è consigliera della Federazione Italiana Tennis e membro del Coni.
 
Nel suo intervento Mara ha raccontato della sua vita professionale e del suo avvicinamento alla fede. Tutto “inizia” sul centrale di Wimbledon. Ha raggiunto il tempio del tennis mondiale mantenendo la promessa fatta da giovanissima alla madre che su quel campo prima o poi ci avrebbe giocato, diventando un’atleta vincente e combattiva; tutto questo nonostante una malformazione ai piedi che fin dall’inizio della sua carriera era stata per lei il vero avversario da battere, partita dopo partita. La gloria, i trofei ma un giorno, all’improvviso, un infortunio stronca per sempre la sua irresistibile ascesa sportiva. Dopo una notte di veglia e preghiere, una luce rapisce il suo cuore e, sulla Collina delle Apparizioni di Medjugorje, ritrova la forza di rialzarsi. Mara rinasce fra le braccia di Maria, nella gioia delle fede. Si riconcilia con se stessa e con Dio e accetta la sofferenza della perdita della madre avvenuta quando aveva sedici anni.
 




Nel pomeriggio le circa cinquecento persone che avevano partecipato all’appuntamento dei giovani, in processione, sono salite verso la cattedrale di Mileto per attraversare la porta Santa e partecipare alla manifestazione giubilare decisa per la zona pastorale di Mileto.








Incontro Giovani Febbraio 2016
 
Tu sei mio figlio
La parabola del Padre Misericordioso è forse quella che espone maggiormente la certezza che Dio è Padre di misericordia.
Nel passo di Luca (cap. 15, 11-32) si esprime con chiarezza come Gesù voglia presentare il Padre come Padre nostro; ed è il Padre il vero protagonista di questa storia, è colui che, pur nel tormento della decisione del figlio minore di partire per “svendere” la propria vita, concede massima libertà di azione.
Quel figlio avventato che ha bisogno di “nuove”, ma illusorie, emozioni lontano dalla sicurezza della casa paterna, siamo un po’ tutti noi. È ciascuno di noi quando la nostra fede presa dalle lusinghe del mondo traballa e sbanda; è ciascuno di noi quando stretti dalla monotonia del quotidiano ci dimentichiamo di ringraziare Dio per gli innumerevoli doni elargiti nei nostri confronti.
Ma siamo anche noi l’altro figlio, il maggiore, che pur rimanendo nell’alveo della Chiesa non crediamo di avere a fianco fratelli e sorelle che condividono con noi un cammino di fede e ci facciamo ingannare dall’invidia che acceca invece di gioire per un peccatore convertito e ritornato al Padre.
Il figlio minore ha sbagliato, è capace di ravvedersi; ma ritorna a casa non perché capisce quanto male ha fatto a se stesso e al Padre, piuttosto perché almeno lì avrà un tozzo di pane da mangiare; e preso dalla sua errata disamina interiore vorrebbe imporre al Padre di trattarlo come servo, pur di avere un tetto e non morire di fame. È un pentimento a convenienza potremmo dire…
Il Padre, che pur sapendolo distante, non lo ha mai abbandonato – come fa Dio quando presi dal peccato e ci stacchiamo da Lui – lo vede da lontano, gli corre incontro commosso, lo abbraccia, lo bacia, lo fa vestire e gli ridona la dignità di figlio. È così l’amore di Dio nei nostri confronti, speranzoso sempre di un ritorno a Lui.
Stupisce che questo padre non rimproveri il figlio che ha dissipato i suoi averi, invece presenta l’apoteosi dell’amore: all’errore del figlio contrappone l’accoglienza, allo sciupio delle sostanze gli ripone l’anello al dito segno di nuova onorabilità e potere sui beni paterni rimanenti, all’essere scalzo, proprio degli schiavi, gli ridona la libertà di figlio erede.
 
Nella giornata dei giovani ha presentato la propria testimonianza l’attore, scrittore e regista Fabio Salvatore. Fabio ha iniziato la sua carriera in teatro sotto la giuda di maestri quali Corrado Veneziano, Enzo Garinei, Giorgio Albertazzi. Ha fondato il Premio Magna Grecia Awards per valorizzare l’operato di uomini e donne influenzati dai valori, dagli ideali e dalla cultura della Magna Grecia. La sua vita è stata segnata anche dalla sofferenza a causa di una malattia, a 21 anni, e nel 2008 con la perdita improvvisa del padre in un incidente d’auto.
La rinascita grazie alla fede, all’incontro con Chiara Amirante e la comunità Nuovi Orizzonti che hanno trasformato in gioia e speranza le sue ferite del corpo e dell’anima.
«Esempi come Natuzza - ha dichiarato nel corso della testimonianza Fabio Salvatore - sono esempi incredibili; lei è stata una figlia prediletta del Signore, un modello che noi dobbiamo ammirare, seguire, per procedere insieme; venendo sulla sua tomba mi sono sentito semplicemente di ringraziarla per tante cose che la vita mi ha riservato. Sono venuto qui con la gioia di trovare sicuramente anche un pezzo del mio papà, che frequentava questi luoghi e che a suo tempo ha incontrato Natuzza per via della sclerosi multipla di mia nonna. Proprio mia nonna mi ha insegnato, quando mi è stato diagnosticato il cancro, di considerare questa malattia come un’occasione. La malattia come una grande occasione di vita, perché i dolori non sono mandati dal Cielo, ma è la natura umana…; mia nonna mi ha insegnato ad offrire la sofferenza e non considerarla come una maledizione, proprio come faceva mamma Natuzza che per tutta la sua esistenza ha sofferto e offerto per gli altri».


Incontro Giovani Gennaio 2016
 
Perso e ritrovato
 
Il cristiano è in continuo cammino, ma su questa strada, il cui senso conduce a Dio, a volte gli ostacoli possono intralciare i suoi passi e far smarrire la giusta direzione. Cristo è sempre al nostro fianco, sofferente con chi soffre, umiliato con chi è disprezzato, per sostenere l’Uomo e ricordargli: - Tu sei mio figlio, a te voglio lasciare in eredità la salvezza eterna, la gioia piena, la felicità senza fine. Quando cadi Io ti tendo la mia mano ferma, perché tu ti rialzi, perché Io sono un Dio che dimentica il tuo peccato, le tue miserie, le tue nudità e ti accolgo sempre facendo festa al tuo ritorno.
 
«Il 26 luglio per Natuzza prima e per noi dopo - ha ricordato padre Michele Cordiano nella sua lectio - è la ricorrenza più importante della vita, perché è il giorno in cui Natuzza ha fatto una promessa al Signore. Ha detto: sì, cercherò di portare a termine il mio compito; e qual è stato questo compito? Portare anime, portare Dio alle anime e le anime a Dio. Un 26 luglio, ricordando quello che era avvenuto nel 1940, il Signore le fa vedere un’altra scena: una grande sala, che non era una chiesa; in questo grande auditorium c’era Gesù e tantissima gente, principalmente giovani, da un lato e dall’altro. Ad un gruppo di giovani Gesù dice: - Avvicinatevi, venite a me e quelli rispondono: - Signore, non possiamo venire, siamo lebbrosi ti infettiamo. No - riprende Gesù - non mi infettate affatto, venite a me. Immaginiamo tutto quello che può rappresentare la parola lebbra, cioè tutto quello che rende la vita a brandelli… Ma Gesù continua: - Venite a me! A un altro gruppo di giovani, Gesù dice la stessa cosa: - Venite! Rispondono quelli: - No Signore, perché noi abbiamo smarrito il senso della nostra vita. Chi è che viene a cercarmi quando mi sono smarrito, chi mi ritrova? È il Signore che viene a cercarci, che brama il nostro ritorno, per dirci: - Guarda che tu non ti sei perso, se qualcuno ti dice che ti sei perduto non è vero, ti sei smarrito piuttosto. E perché ti sei smarrito? Perché hai percorso strade nella vita convinto che erano le più sicure, le più belle, le più certe, le più soddisfacenti, che ti potevano maggiormente realizzare e poi invece ti sei trovato con un vuoto dentro, smarrito. Ma quando tu ti sei smarrito un Altro ti ha sempre cercato, ti ha sempre seguito, non ti ha lasciato mai solo: per cui non bisogna mai sentirsi perduti, anche nel baratro del peccato non sei mai solo: Qualcuno mi sta cercando, mi sta tendendo la mano: è il Signore, che va dietro la pecorella smarrita, come Colui che non ti perde d’occhio, senza tuttavia violare la tua libertà. Per cui mai nessuno potrà dire: - io sono perduto; perduto è solo chi va all’inferno. Quella è l’unica perdizione e fin quando siamo su questa terra, fino all’ultimo istante di vita, il Signore ci cerca. Il nome di Dio è Misericordia. E finché non ti ritrova persiste, non si scoraggia mai, non si stanca mai, rallegrandosi nel vederci di nuovo con Lui; qualunque cosa sia successo nella tua vita tu sei mio - dice il Signore».
 
 
«In comunità - ha ripreso nel pomeriggio don Mimmo Battaglia, fondatore a Catanzaro del Centro Calabrese di Solidarietà - vivi senza alcun interesse personale, non è importante l’io. Credo che questa debba essere l’unica strategia vincente; quando pensate ai ragazzi della comunità pensate semplicemente a dei ragazzi normali come tutti quanti i giovani della loro età in tutto e per tutto con un unico problema in più: dove reperire la sostanza per non stare male. Questo è il loro problema. Ma la sostanza è soltanto la punto dell’iceberg. Abbiamo tutti le stesse fragilità, le stesse incertezze, gli stessi problemi. Tante volte mi son sentito dire: - Ma perché hai fatto questa scelta? Ciò che ci muove sempre, nel voler andare incontro agli altri, sta nel capire che noi non abbiamo di più rispetto agli altri, ma piuttosto qualcosa in meno. Io ho bisogno di questi ragazzi e loro hanno bisogno di me; io non sono migliore di questi ragazzi; io non migliore di nessuno. È questa la fraternità, è questo il Vangelo: capire che io ho bisogno di voi e voi di me. E ogni volta che ti muovi per andare incontro agli altri bisogna partire sempre dalle proprie ferite, perché tutti ne abbiamo; perché se parti dalle tue ferite ci stai mettendo il tuo cuore e gli altri hanno bisogno del tuo cuore. Aiutando a rimarginare le ferite degli altri si rimargineranno le nostre, aiutando gli altri a migliorare, miglioreremo anche noi: questa è l’esperienza del Vangelo, questo è l’amore: mettere l’altro prima di noi; prima l’altro poi io. Questo cerchiamo di vivere nella nostra comunità, con tutte le difficoltà che esistono perché siamo uomini e possiamo sbagliare, ma l’importante è non arrendersi di fronte agli sbagli. Ai ragazzi dico sempre: - Una persona è grande non quando non sbaglia mai, ma quando riconosce il suo errore e trova la forza di ricominciare, di rialzarsi. Con un Dio che tende la mano alla persona caduta perché si senta accolta, amata per quella che è e non per quello che dovrebbe essere. Dio ama così».
Incontro Giovani Dicembre 2015
 
Non c’era posto per loro…
 
Il messaggio che parte da una qualunque nascita, osservando il neonato inerme e indifeso, bisognoso in tutto e per tutto di cure altrui, non può non essere che l’amore. Esso è la conseguenza di tanti gesti d’amore, ispirando tenerezza non può non infondere affetto, pensando a lui anche i cuori più induriti si trasformano delicatamente… eppure, rispetto alla nascita del Figlio di Dio, attorno alla Nascita per eccellenza, “attorno al Bambino di Betlemme – come ha scritto il card. Angelo Comastri – sono accadute cose incredibili e si ripetono, ancora oggi, fatti impressionanti… relazioni che, umanamente parlando, non sono spiegabili: questo Bambino nacque povero e fece spaventare i ricchi; questo Bambino nacque umile e fece allarmare i potenti; questo Bambino nacque mite e disarmato…eppure scatenò l’ira dei violenti”.
 
Perché tanta paura nei confronti di questo Bambino? La nascita di Gesù non ha fatto altro che insegnare all’umanità che tutto è possibile “attraverso l’Amore: si è schierato decisamente contro la legge dell’odio e della violenza, si è posto a favore dei più deboli e ci ha restituito lo smarrito e sempre smarribile sentimento del rispetto della vita di tutti, con umiltà ha seminato e dalla sua parola sono sbocciati semi di misericordia e di pace”.
 
E allora con accorata convinzione diciamo: “Vieni Bambino Gesù! Nella nostra casa! Nel nostro cuore!”; facciamo spazio a questa nascita che accolta può trasformare la nostra vita, facciamo posto al Divin Salvatore, ospitiamolo dentro la nostra storia che solo può avere un senso se permeata di Lui.
 
Sì, Signore Gesù, anche noi tante volte abbiamo voluto lasciarti fuori dal nostro animo, pensando di riuscire con le nostre misere pratiche a saziare il nostro essere; e non accettando Te abbiamo rifiutato quanto a Te ci avvicina: le sofferenze dei fratelli, i bisogni dei più poveri, il dolore di chi chiede aiuto…
 Signore Gesù, fa’ che quella misera mangiatoia possa divenire il nostro cuore
Incontro Giovani Novembre 2015
 
Chi sono?... un figlio rinato dall’Alto
 
Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Nicodemo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?»(Gv 3, 1-15).
 
Come Nicodemo che andò in cerca di Gesù, di notte, anche noi oggi siamo in cammino, alla ricerca di Dio. Conosciamo a parole il messaggio di Cristo, ma fatichiamo a metterlo in pratica nella nostra vita.
Al tempo di Gesù, a Gerusalemme, dove viveva questo anziano maestro d’Israele, la Legge c’era già, il tempio era incantevole, sontuose e ieratiche erano le celebrazioni in onore di Dio, ma restava un problema di morale… chi rubava nel campo del proprio padrone, chi non pagava le decime per il tempio, chi cercava la moglie di un altro… è lo specchio della società odierna si può dire…il peccato non ha età…
 
E allora Come può un uomo rinascere? Si può, ci dice il Maestro dei Maestri, nascendo da acqua e da Spirito.
 
Il Padre ha mandato il suo Figlio perché potessimo entrare nel suo Regno. Gesù spiega a Nicodemo e a noi oggi lo stesso principio: la nascita d’acqua è il battesimo, è la purificazione, è quello stato che ci permette di essere a contatto con il Divino, e la vita non è nient’altro che il rapporto con Dio, che ci pone in dialogo con Lui e con questo ci fa partecipi della sua natura: l’amore. Con il battesimo, allora, noi siamo innestati in Cristo. Con il sacramento della riconciliazione, ogni volta, facciamo nostra la misericordia di Dio e rinasciamo uomini nuovi morendo al peccato.
L’essere segnati poi nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo è l’imprimatur che la nuova creatura battezzata appartiene a Cristo e come Gesù è stato immerso e avvolto nelle acque del Giordano così il cristiano è immerso e avvolto in Cristo, rivestendosi di Lui.
L’Uomo sa che non basta ostentare la conoscenza, l’insegnamento ricevuto: l’Uomo diviene vero seguace di Cristo quando vive quanto ha conosciuto, quando impara a vivere Cristo e a vivere di Cristo. Ed è lo Spirito che ci fa vivere alla stregua dell’Amore che Dio ha per noi, quello Spirito che abbiamo ricevuto con il crisma sulla fronte; nascendo da Esso possiamo avere una qualità di vita nuova.
Un’esistenza nuova ha scoperto Debora Vezzani testimone dell’incontro, che ha raccontato la propria rinascita in Dio; musicista, cantante, dopo svariate e dure vicissitudini successele nell’arco della sua breve ma intensa vita – Debora è nata nel 1984 –, ha saputo leggere i segnali che il Signore ha voluto indirizzarle facendo suo il messaggio che da sempre il Padre manda ai propri figli: Ti ho tessuto nel seno di tua madre…ti ho fatto come un prodigio.
Incontro Giovani Ottobre 2015
 
Il mondo ha sete di misericordia
 
La parola ‘misericordia’ è risuonata costantemente tra i presenti al primo incontro mensile dei giovani, per l’annualità 2015/16, organizzato dalla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime.
 
La misericordia divina – ricorda da qualche tempo Papa Francesco – è una grande luce di amore e di tenerezza, è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati”.
 
“‘Misericordia’ è la composizione di due parole: ‘miseria’ e ‘cuore’. Col termine cuore noi indichiamo la capacità di amare una persona, ‘misericordia’ allora ha questo significato fondamentale: amore che guarda alla miseria della persona umana per liberarla.
 
Maria è ‘Madre di misericordia’ perché ha avuto la comprensione più profonda di quell’abisso di misericordia che è il cuore di Dio, avendo vissuto un’esperienza unica ed irripetibile.
 
Maria, sperimentando la misericordia in modo eccezionale, diventa ‘Madre di misericordia’ perché sa compatire come nessuna persona umana la nostra miseria: Madre di misericordia, perché piena di misericordia verso ogni miseria umana”.
 
L’invito però non è solo appannaggio del Divino, ma è rivolto al cristiano e direttamente da Gesù: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc, 6-31). Gesù incita chi vuole desiderare la salvezza a prendere esempio da Lui, ad abbracciare uno stile di vita che incarna l’amore come espressione principale del quotidiano: essere misericordiosi significa allora capacità di amare indistintamente tutti, vuol dire porgersi nei confronti dell’altro come farebbe un padre o una madre che guarda con gli occhi del cuore il proprio figlio; bandire, rispetto al fratello che ti è accanto, ogni forma di bieco tornaconto personale, ogni progetto di invidia, ogni pensiero di gelosia che offusca la mente e ti immerge nel mare del peccato.
 
Se l’uomo non abbraccia l’amore come mezzo per vivere è destinato a un’esistenza amorfa, a una vita inaridita, a vivere seccato, svuotato. Invece Dio, vivendo d’amore, ci abbevera, ci annaffia ci dà un’acqua grazie alla quale finirà ogni nostra sete, anzi diventerà nell’Uomo sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv. 4,3-42).
 
Questo passo di Giovanni, oggetto della lectio di padre Michele Cordiano, ci ricorda anzitutto che è Dio che va verso i suoi figli, che Dio continuamente dona e si offre per l’umanità senza nulla chiedere o pretendere. Gesù, maestro per eccellenza di incontro, di relazione, inizia con la donna di Samaria, al pozzo di Sicar, un dialogo che potremmo dire rivolge a tutti i figli di questo tempo. Anche noi come quella donna portiamo addosso un fardello di peccati, le nostre povertà ma Gesù si accosta alle nostre vite con rispetto, senza pronunciare sentenze di condanna; si pone accanto a noi con dolcezza, con garbo perché il suo unico e fermo intento è darci un dono perenne: la vita eterna.
 
L’affaticamento di Gesù diventa occasione di incontro, la sua sete un’opportunità per dissetarci: è Dio che si presenta nell’ordinarietà delle nostre vite per fare di noi qualcosa di straordinario. Ma nonostante l’ordinario a volte può divenire circostanza fortuita, Gesù non lascia nulla al caso, Lui sa quando e come deve cercarci, conosce tutta la vita dei suoi figli. E ci incontra a tu per tu, vuole entrare in intimità con il nostro cuore, con la nostra coscienza. Quel “dammi da bere” diventa allora per noi l’accoglienza di un invito speciale, un atto di disponibilità verso chi solo può darci la vera vita.
 
Testimoni della giornata sono stati Piero Damosso, Beatrice Fazi, Joseph Caruana, Riccardo Ranzolin.

Incontro Giovani Giugno 2015
 
LA COMUNIONE FRATERNA…da Babele a Pentecoste
 
Si è concluso con l’appuntamento di giugno il ciclo annuale degli incontri dei giovani. Una giornata speciale, alla fine di questo percorso, che ha avuto come testimone il vescovo della diocesi di Mileto, Nicotera, Tropea.
 
Mons. Luigi Renzo, nato a Campana (CS), ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1971; fino al 2007, anno della sua elezione a vescovo, ha ricoperto diversi incarichi sia nella diocesi di appartenenza, Rossano-Cariati, in qualità tra l’altro di vicario generale, parroco della cattedrale, Direttore del Museo Diocesano, sia a livello regionale come Direttore dell’Ufficio regionale dei Beni Culturali Ecclesiastici, docente presso il Seminario Teologico di Cosenza. Storico, scrittore, giornalista pubblicista ha al suo attivo oltre cinquanta pubblicazioni di storia locale, antropologia e pastorale.
 
L’intervento di Mons. Renzo ha suscitato particolare interesse nei presenti all’appuntamento formativo dei giovani; il vescovo ha avuto modo di richiamare, dall’inizio della sua vocazione sacerdotale, i fatti e gli aneddoti più rilevanti della sua vita: la vicinanza a Natuzza, ricordata anche con una pubblicazione, Il mio incontro con Natuzza, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, gli incontri con papa Francesco in Santa Marta e tanti altri particolari avvenimenti alla luce della sua esperienza di pastore della diocesi miletese.
 
La tematica che ha caratterizzato l’incontro in mattinata è stata “La comunione fraterna… da Babele a Pentecoste”. C’è un legame inscindibile tra lo Spirito Santo e la Chiesa, è Lui che plasma, realizza; è Lui, luce d’eterna sapienza, che crea l’unità e la comunione che sono il contrario della babele che alberga oggigiorno nella nostra società frutto dell’egoismo e della superbia dell’Uomo. Ed allora è bene fare nostra l’invocazione: Donaci Signore il fascino del nostro limite.
 
Eccoci davanti al ben noto antico peccato di superbia dei costruttori della Torre di Babele: essi volevano “farsi da soli”, volevano inseguire il modernissimo peccato del "self made man" che, senza appoggio alcuno, percorre velocemente la strada luccicante del successo, nella professione, nella politica, nello sport, nella bellezza e, purtroppo oggi, nei conflitti militari.
 
Eccoci davanti a questa formichina di uomo, dimentico di essere spuntato dal nulla e di essere incamminato, secondo lui, verso la notte buia del nulla, che alza la cresta per dimostrare le sue forze: sarebbe uno spettacolo ridicolo, se non fosse drammatico.
 
Invece l’Onnipotente il successo lo concede agli impotenti, ai fragili, a coloro che riconoscono i loro limiti. Rendimi distante, Signore, da questi personaggi del mondo, della storia, della politica, dello spettacolo, dello sport che si presentano tranquillamente come presunti immortali: scampami dalla sventurata tentazione di invidiarli!
 
Così a Babele l’ingenua torre che voleva scalare il cielo diventava il cippo funebre al cadavere di Dio! Ma in quella tomba fu deposta invece la salma della fraternità fra gli uomini, i quali, persa coscienza di una comune paternità, decisero di non chiamarsi né sentirsi più fratelli, esprimendosi nelle diverse lingue che garantivano così le loro distanze.
 
Com’è facile, Signore, ancor oggi, non capirsi, nonostante tutte le sofisticate apparecchiature di traduzione simultanea, quando non si riconosce Uno più grande di noi che ci ama tutti!
 
Com’è triste, Signore, quando nella tua stessa chiesa, nei nostri gruppi e parrocchie, facciamo finta di recitare lo stesso Padre Nostro, ma viviamo distanti, indifferenti e talora ostili!
 
Ti concediamo, Signore, di ammettere la nostra sconfitta, Ti concediamo di riconoscerci in pericolo da salvare.
 
Vogliamo verificare la verità dell’invocazione del tuo nome di Padre dalla conseguente fraternità fra di noi.
 
Manda ancor oggi a noi, Signore, il tuo Spirito che inauguri tra i credenti l’unità nella diversità. Amen.

Incontro Giovani Aprile 2015
La tenerezza di Dio
La tenerezza di Dio è un dono che il Creatore elargisce nei confronti dell’Uomo e come tale, in quanto offerta, viene data con gioia e ricevuta gratuitamente. La tenerezza del Padre non è qualcosa di astratto, non resta un’idea ma diviene un agire reale, concreto. Essa è qualcosa che giunge all’Uomo nel massimo rispetto delle sue libertà, con quella delicatezza che solo Dio sa usare. Non è impositiva, non urta la nostra sensibilità ma anzi la sostiene facendoci gustare tutto in una forma di completa interezza. È però un monito, uno sprone che ci suggerisce di non restare indifferenti difronte a quanto il mondo propone e a volte vorrebbe imporre arbitrariamente, diventa pienezza di fede quando ricordiamo che “tutto può l’Amore”.
“La tenerezza di Dio non è dunque fuori di noi, non viene dal cielo come segno prodigioso o fulmine a ciel sereno. Non ci sconvolge, ma cresce in noi e, spesso, attorno a noi così silenziosamente da diventare invisibile a occhi troppo spesso distratti dalle apparenze. La tenerezza di Dio è sempre, instancabilmente, all’opera perché questo è il suo modo di raggiungerci e di trattenerci nell’amore”.
Essere pervasi da questo dono significa non chiudersi dentro le proprie convinzioni e restare inermi davanti alle necessità altrui, significa piuttosto avere il coraggio di scardinare le nostre pochezze e farci inondare dall’amore del Padre. Con questi convincimenti che guardano al mondo con gli occhi della fede, si scopre nella difficoltà l’opportunità della redenzione, nell’aiuto ai fratelli la gioia del servizio e della condivisione, si vive pieni di quella letizia che fa superare ogni ostacolo perché sappiamo a cosa bisogna tendere, cosa raggiungere.
La tenerezza di Dio ha guidato l’opera di Padre Ugo De Censi fondatore dell’Operazione Mato Grosso che guardando le necessità dei poveri dell’America Latina ha dato il via a questo movimento di volontariato educativo missionario dove i giovani realizzano lavori di gruppo durante i giorni della settimana e, nei fine settimana, campi di lavoro. In questi momenti i volontari sono impegnati in raccolte di carta, rottami e altri materiali da macero oppure come operai in lavori agricoli, di costruzione, di pulizia sentieri, di costruzione e gestione di rifugi. Le attività delle diverse missioni si trovano principalmente in PerùEcuadorBrasileBolivia e sono realizzate grazie ai campi di lavoro, alle attività dei gruppi adulti ed alla carità di gente generosa. In America Latina ci sono numerose spedizioni dove i volontari OMG - giovani, famiglie, sacerdoti - realizzano attività nei settori educativo, religioso, sanitario, agricolo e sociale in generale. I volontari offrono il loro lavoro in forma completamente gratuita. Ogni estate partono verso le missioni gruppi di giovani per un periodo di 6 mesi. In Perù Padre Ugo ha fondato una scuola di lavorazione del legno dove gli alunni ricevono istruzione, formazione professionale, vitto e alloggio. Gli allievi vengono accolti, dopo essere stati scelti tra molti candidati, in considerazione della povertà della famiglia e della bontà del ragazzo. La scuola dura 5 anni, secondo quanto previsto dai programmi delle scuole superiori. Il governo riconosce questi studi e alla fine rilascia agli alunni la qualifica professionale d'intagliatori del legno.
Gli arredi e le pale in legno della Chiesa del Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime sono stati realizzati da questi ragazzi che sono riusciti a creare con la loro maestria vere e proprie opere d’arte; ma non solo, oltre il legno, in Perù è stato avviato un laboratorio per la realizzazione dei mosaici, uno dei quali è stato creato per decorare la parete del presbiterio nella sala centrale della Chiesa chiesta dalla Madonna a Mamma Natuzza.
Matilde Albonetti operatrice del Mato Grosso è alla guida del gruppo di lavoro che sta eseguendo l’opera musiva. Insieme al marito Simone ha lasciato l’Italia per stabilirsi in Perù e abbracciare completamente lo spirito che anima gli appartenenti all’Operazione Mato Grosso.
“La nostra è stata una scelta di vita – ha ribadito nel suo intervento/testimonianza all’incontro dei giovani del 12 aprile Matilde –; un impegno concreto per aiutare i poveri dell’America Latina attraverso gesti concreti come la raccolta viveri, campi di duro lavoro, attività di carità, radunare giovani, ecc. Tutto questo ci ha permesso di guardare alle nostre storie sotto un’altra ottica. Abbiamo scoperto la bellezza dell’affidarsi ad altre persone, perché ci siamo “spogliati” di tutto e non solo materialmente, anche della nostra famiglia d’origine andando a vivere dall’altra parte del mondo per far parte di una famiglia più grande. In Perù abbiamo aperto una missione insieme a padre Alessandro Facchini e una scuola d’arte per dare lavoro ai giovani del posto. Così siamo riusciti a fare qualcosa di bello ma nello stesso tempo qualcosa che può parlare di Dio. Il mosaico diventa ogni giorno scuola di vita: come i piccoli tasselli nell’insieme formano le grandi e magnifiche figure così ogni giorno con sacrificio andiamo avanti cercando di fare qualcosa per il Signore; con la convinzione di saper perdere anche quando pensi di avere ragione, accogliendo il silenzio come un dono per non perdersi in parole inutili; e il tutto attraverso un duro lavoro che ci fa capire quanto è importante la fatica fatta con gioia sapendo che è per il bene degli altri”.
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Incontro Giovani Marzo 2015
La vita nuova nasce da uno Sguardo che salva
Paravati e Lourdes, luoghi di fede e di preghiera, entrambi luoghi di Maria; posti dove la Vergine ha voluto porre il proprio sigillo per ricordare quanto amore ha per l’Uomo. Paravati e Lourdes luoghi dalle tante assonanze accomunati domenica ventidue marzo, consueta giornata dei giovani, da una speciale presenza: François Vayne, giornalista, per ventisei anni direttore della rivista Lourdes Magazine, responsabile del servizio comunicazione, della libreria e della casa editrice Notre-Dame de Lourdes, che ha testimoniato il suo percorso di fede alla luce anche dell’esperienza lavorativa nel santuario mariano più frequentato al mondo.
Nato in Algeria, Vayne, ha trascorso in Africa l’infanzia e l’adolescenza venendo a contatto con i musulmani autoctoni anch’essi devoti, secondo le indicazioni coraniche, alla Madre di Dio venerata come Maryam «purificata e prescelta tra tutte le donne del mondo».
 Consapevole che Maria è Colei che riunisce tutti i figli di Dio in uno spirito di fratellanza, François comprende che la missione della sua vita è diventare giornalista per comunicare e servire questo universale messaggio di pace e di amore. Nel corso dell’intervento il giornalista francese ha espresso come i segni più importanti di Lourdes, secondo il suo parere, siano stati e continuano ad essere “i miracoli della fede, le conversioni.
È necessario vedere oltre le apparenze, diventando “veggenti” – ha ricordato Vayne – nel senso di cogliere ciò che è invisibile all’occhio umano ma che è di facile lettura per il cuore”. La grotta diventa così non solo il luogo dell’evento, delle apparizioni, ma il luogo dove Dio ci dà un segno per svelarci il suo cuore, dove il messaggio principale è il suo amore, indistintamente verso tutti: Dio ci ama così come siamo, con tutti i nostri successi, ma anche con tutte le nostre ferite, le nostre fragilità, i nostri limiti.
Alla grotta l’Uomo viene accolto dalle braccia amorose della Madre e condotto al Figlio che per la nostra salvezza si è innalzato sul trono della croce. Alla roccia di Massabielle il genere umano è ospitato nel cuore di Cristo e purificato dall’acqua del suo costato: così come dalla croce si dipana l’esortazione ecco tuo figlio, ecco tua Madre, Cristo attraverso Maria abbraccia l’esistenza umana e la redime per condurla alla salvezza.
Nel suo intervento François Vayne ha accostato inoltre le due realtà mariane affermando come tutto quanto ruoti intorno alla Villa della Gioia, di materiale e di spirituale, gli ricordi “la nascita di Lourdes; il santuario francese avrebbe bisogno di Paravati per ritornare alle origini, ai giorni di Bernadette, mentre invece Paravati deve attingere da Lourdes per colmare alcuni aspetti organizzativi e amministrativi”.
Nel pomeriggio le centinaia di persone presenti hanno avuto modo di partecipare al sacramento della riconciliazione per poi assistere alla Santa Eucarestia celebrata da Padre Michele Cordiano nella cappella posta a sinistra della sala centrale dedicata alle confessioni.
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Incontro Giovani Febbraio 2015
Vuoi guarire?
L’evangelista Giovanni riporta nel suo Vangelo un avvenimento accaduto a Gerusalemme presso la porta cosiddetta delle “Pecore”. L’episodio racconta di Gesù che va incontro a un infermo, da trentotto anni malato e reietto ai bordi di una piscina. Scavi effettuati di recente hanno scoperto “nel luogo indicato da Giovanni l’esistenza di una piscina costituita da due vasche contigue: il tratto centrale era certamente coperto da un portico come quelli costruiti nei quattro lati della piscina”.
Gesù si dirige verso il paralitico; pur vedendolo per la prima volta lo conosce. Scruta il suo intimo e le pene di chi, da quasi quaranta anni, ha fatto di quel luogo la sua seconda casa con la speranza di poter ricevere la guarigione. Gesù si indirizza verso l’ammalato, verso il peccatore oggi come duemila anni fa e di ogni persona ne accoglie la storie così come i bisogni più reconditi. Va al nocciolo della questione il Maestro, senza fronzoli e giri di parole pone una domanda: Vuoi guarire?
Il paralitico, chiuso nelle convinzioni sbagliate che legano il suo cuore, è certo che qualche forma di magia possa portarlo a nuova vita, mentre invece lo relega alla morte dell’anima. La misericordia del Padre però è al di sopra di ogni miseria umana, qualunque sia il suo peccato, per questo Gesù all’infermo, come a noi, dice: Alzati! Esci dal tuo stato di vizio, di perversione e risorgi alla vita vera, quella che solo Io so dare. E il povero si alza, col suo lettuccio nelle mani si dirige verso il tempio che era poco distante dalla piscina.
Ma qualcuno cerca di fermarlo. La tradizione giudaica sembra avere la meglio sull’eccezionalità del segno fatto da Gesù: fa più impressione un lettuccio sotto braccio nel giorno di sabato che un paralitico, fermo da trentotto anni, camminare. L’uomo si giustifica, chi l’ha guarito gli ha detto di fare così ed allora il Maestro lo riporta al vero senso del gesto: la guarigione dell’anima, la salvezza eterna purché disposto a non peccare più.
Nel pomeriggio i partecipanti all’incontro hanno assistito a due testimonianze, quella del dott. Gianluca Bellocchi Direttore dell’Unità di Otorinolaringoiatria dell’Azienda Ospedaliera San Camillo – Forlanini di Roma e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dello stesso presidio romano e del M° Marco Voleri cantante lirico.
Il dott. Bellocchi, che da anni promuove un approccio integrato di cura mettendo insieme attorno al malato i diversi specialisti per creare percorsi interdisciplinari secondo la concezione del sollievo della sofferenza proposta da Padre Pio e ispirata dal Vangelo, ha parlato dell’importanza dell’umanizzazione dell’ospedale attraverso il passaggio dal semplice “curare” al “prendersi cura” del paziente e del bisogno di un rapporto più comprensivo e disponibile tra operatori sanitari e infermo per conoscere meglio le reali esigenze del malato stesso e dei suoi familiari.
Il tenore Marco Voleri ha parlato del suo percorso di fede alla luce della malattia, la sclerosi multipla, che dal 2006 interessa la sua persona. Voleri ha scelto di raccontare la sua storia attraverso un libro Sintomi di felicità riferendo come la scoperta della “simpatica compagna di viaggio” l’abbia costretto a rivedere la sua vita, nonostante tutto vissuta adesso con piena consapevolezza e con la certezza di volerne gustare ogni piccola gioia possa riservargli.

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Incontro Giovani Gennaio 2015
“…l’avete fatto a me…”
Una foto di mamma Natuzza che accarezza una ragazza è posta sulla copertina del libretto-guida che la Fondazione ha offerto per la giornata dei giovani del mese di gennaio. Si scorge nella carezza la dolcezza del gesto dettato dall’amore, accompagnato dallo sguardo di chi vuole esprimere all’altro un messaggio inequivocabile: Gesù ti ama, sei prezioso ai suoi occhi.
L’incontro, dal titolo: “…l’avete fatto a me…”, ha sviluppato la tematica della “carità” servendosi del brano del Vangelo di Matteo al capitolo 25, versetti 31-46, la cosiddetta parabola del Giudizio Finale che raccomanda al cristiano quali dovrebbero essere le modalità del suo agire per avere la salvezza eterna: accogliere gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i nudi, i malati, i carcerati; in poche parole dirigere la nostra vita verso gli ultimi.
L’amore che Dio ci insegna di tenere verso i fratelli non può essere un amore settoriale, limitato al nostro quotidiano più prossimo (famiglia, amici, vicini…), ma riversato verso tutti indistintamente. L’azione dell’amore è la carità che si dona gratuitamente, amando l’altro per primo senza pretesa di essere ricambiato; l’iniziativa della carità è disinteressata, non aspetta l’agire del prossimo ma tutto fa perché nel fratello bisognoso vede Cristo sofferente e oltraggiato.
«La persona afflitta, angosciata che manca del necessario per vivere con dignità è “sacramento” di Gesù Cristo, perché con lui Cristo ha voluto identificarsi – ha espresso nella lectio padre Michele Cordiano. Chi serve il bisognoso serve Cristo. È Gesù stesso che morendo per tutti, amando ciascuno ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti; e la salvezza dipende dall’aver o meno servito i fratelli e le sorelle, dalle relazioni di comunione con quanti siamo stati disposti a incontrare sul nostro cammino».
Nel testamento di Mamma Natuzza c’è poi un “completamento” della concezione cristiana: dopo essersi dati con amore, con gioia, con carità e affetto per amore degli altri, dopo aver operato con opere di misericordia, quando ognuno fa del bene, oltre a ringraziare il Signore per avergli dato la possibilità di elargire questo bene deve ringraziare anche la persona che le ha permesso di fare il bene: quell’azione, quel gesto, quell’opera di carità. Se incontriamo un indigente, un disagiato, un infelice non tanto lui deve esprimere gratitudine verso noi, per l’azione che abbiamo fatto nei suoi confronti, quanto noi invece benedire lui che ci ha permesso di operare come seguaci di Cristo.
La testimonianza della giornata è stata offerta da don Silvio Mesiti parroco della concattedrale di Palmi e cappellano della Casa Circondariale di Palmi. Nel corso del suo intervento il sacerdote ha ricordato quante volte nella sua azione pastorale all’interno della struttura carceraria sia venuto in contatto con le vere povertà, con persone bisognose d’amore, che necessitano di essere rieducati invece che relegati ai margini più assoluti della società. L’“artigiano di Dio”, come ama definirsi don Silvio, ha raccontato l’esperienza con mamma Natuzza, di come lei fosse attenta ai bisogni dei carcerati raccomandandoli alle sue cure e di come tante volte gli abbia suggerito qualche indicazione per rendere più efficace il suo apostolato tra i detenuti

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Incontro Giovani Dicembre 2014
Siamo venuti per adorarti
“Da più di duemila anni – scriveva monsignor Angelo Comastri –, a ogni Natale, ci scambiamo gli auguri perché avvertiamo che la nascita di Gesù è anche la nostra nascita: la nascita della speranza, la nascita della vita, dell’amore, la nascita di Dio nella grotta della nostra povertà”. I giovani, nell’incontro del 21 dicembre, in cammino come i magi al tempo di Gesù si sono mossi alla ricerca del Salvatore per adorarlo, affinché questo Bambino trovando spazio nei cuori, sotto la stella di mamma Natuzza, abbatta dalla nostra esistenza una fede sbiadita per fare spazio a comportamenti di fede veri e concreti.
Nelle intenzioni di preghiera mattutine si è pregato tutti insieme per l’intera Chiesa chiedendo l’intercessione di Maria perché ci aiutasse a comprendere il vero significato del Natale, per farci capire che la Festa non si deve basare sulla “tavola piena di vivande che non sazia, se il cuore è vuoto di verità. Quando ci vedi, o Vergine, brancolare insoddisfatti attorno alle nostre mense stracolme di beni, muoviti a compassione di noi e torna a deporre nella mangiatoia, come quella notte facesti a Betlemme, il pane vivo disceso dal cielo. Perché solo chi mangia di quel pane non avrà più fame in eterno”.
Testimoni particolari del Natale sono stati due sacerdoti italiani Padre Enrico e Padre Antonello iniziatori del Movimento Alleanza di Misericordia e Rafael “figlio” della loro comunità, che presi coscienza della loro “vocazione nella vocazione” hanno lasciato le rispettive parrocchie per dedicarsi “all’inferno umano” di San Paolo del Brasile. Il Movimento è presente oggi in 46 città del Brasile oltre che in Italia, Belgio, Polonia e Portogallo. In ambito religioso l’Alleanza di Misericordia accoglie e unisce le forze di uomini e donne, celibi e sposati, consacrati e laici, che in forme e livelli diversi, chiamati da Dio, diventano “figli della misericordia” per evangelizzare le pecore perdute (Lc 15, 4-7).  “Siamo chiamati ad una vita di preghiera e di azione, azione evangelizzatrice e di promozione umana – hanno spiegato i padri. Per mettere in pratica questa missione, il Movimento organizza incontri kerygmatici e carismatici, di conversione, per coloro che sono lontani dalla Chiesa, soprattutto i giovani, in particolare attraverso lo JAM (Giovani Alleanza di Misericordia), dei Thalita Kum, dei Ruah, dei Canà. Allo stesso tempo, sviluppa azioni volte a dare concrete opportunità di reinserimento nella società agli emarginati, ai senza casa, a quelli che vivono nelle baraccopoli o alle persone a rischio. La cosa più importante è quella di salvare le loro vite”.
La nascita di Gesù, la discesa di Dio in terra è come “la sua misericordia – ricordava Padre Enrico: la misericordia è l’amore di Dio che scende dall’alto sino al fondo della nostra miseria per rialzarci dall’immondizia in cui siamo caduti; la misericordia è capace di trasformare i peccatori in santi”.
Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Rafael, giovane brasiliano che ha sperimentato il senso più oscuro della vita e che solo grazie all’incontro vero con Cristo è riuscito a trasformarsi in testimone del Vangelo: “ogni giorno, nonostante i miei peccati e i miei limiti, faccio esperienza di Dio che scende verso di me e mi dice: coraggio!”.

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Incontro Giovani Novembre 2014
So in chi ho riposto la mia fiducia…
“Credere nel Signore ed accettare il suo dono - spiega Papa Benedetto XVI - porta ad affidarsi a Lui con animo grato aderendo al suo progetto salvifico”. L’affidamento parte dalla libera consapevolezza e adesione dell’uomo che nell’amore risponde alla chiamata del Padre con la certezza che la misericordia divina supera sempre il peso di qualsivoglia peccato umano. “Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà e ai dubbi - continua il Santo Padre - fidatevi di Dio e seguite fedelmente Gesù e sarete testimoni della gioia che scaturisce dall’unione intima con lui. Ad imitazione della Vergine Maria che per prima ha avuta in maniera incondizionata piena fiducia nel suo Creatore”.
La parola Fiducia ha accompagnato nei diversi momenti formativi l’incontro dei giovani del mese di novembre. L’essere fiduciosi nel Signore presuppone accogliere con piena partecipazione il progetto che Dio ha sulla nostra vita, alimentare la consapevolezza che solo abbandonandoci alla Sua amorevole premura l’esistenza umana può avere un vero significato. Maria ne è l’esempio più grande e lampante. Giovane donna, non ancora madre, esce dalla sua casa ed inizia il viaggio verso la cugina Elisabetta metafora di tutti i viaggi dell’anima e della vita stessa. Aprire la vita a Dio significa però allontanare ogni forma di timore, bandire quella sorta di paura che spesso pervade l’uomo, indeciso e perplesso sul domani. In genere si fa fatica a dare credibilità a Dio, con difficoltà si accetta l’idea che da sempre abbia pensato a una vocazione per noi; la nostra vita si svolge tra fede e incredulità con la possibilità però di scegliere in chi credere. Diventa necessario pregare affinché Dio “riceva le nostre sofferenze e le trasformi in crescita, accolga il nostro scoraggiamento e lo cambi in fede, le nostre solitudini e amarezze mutandole in calma interiore”.
L’episodio del Vangelo, oggetto della lectio mattutina, che ci riporta dell’emorroissa ci ricorda la situazione di una donna la cui condizione è paragonabile a chi è senza speranza, ad una persona che sta andando incontro alla morte. L’emorroissa perde sangue, sta smarrendo pian piano la propria vita; tanti oggi, giovani e meno giovani, consumano intenzionalmente la propria esistenza: nei vizi del gioco, dell’alcol, della droga, dell’edonismo più bieco consumano se stessi andando incontro alla morte. La donna del Vangelo però non accetta questa condizione e sa che l’unico che può risollevarla da questo stato è il Signore: cerca un contatto con Gesù sfidando la folla che non si accorge della sua “povertà” e la sovrasta. Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata: è questa la fede di chi crede che solo Dio può redimere l’esistenza, è questa la fede che permette a Dio di dire: Figlia, va’ in pace, sii guarita…
Anche Natuzza - come ha dettato nel suo testamento spirituale - sostenne con decisione: ho avuto sempre fiducia nel Signore e nella Madonna. Da loro ho ricevuto la forza di dare un sorriso e una parola di conforto a chi soffre, a chi è venuto a trovarmi e a posare il proprio fardello che ho presentato sempre alla Madonna, che dispensa grazie a tutti quelli che hanno bisogno. La fiducia e l’accettazione del disegno divino su di lei ha fatto di Natuzza l’umile messaggera, totalmente docile al Padre sull’esempio di Maria.
In questo secondo incontro dei giovani, nella sessione pomeridiana, ha offerto la propria testimonianza di fede Claudio Morici. Autore, regista e attore teatrale Claudio ha condiviso con gli intervenuti il personale percorso di vita, segnato da quelle prove che ne avevano condizionato e limitato il rapporto con Dio. L’incontro vero con Gesù e Maria, “persone vive e presenti nella mia vita” - ha espresso Morici -, ha fatto sì che mi risvegliassi da una fede sopita per ritornare ad abbracciare con consapevolezza la tenerezza del Padre”.






Incontro Giovani Ottobre 2014
Dio ti rivolge una parola e attende una risposta
Il primo incontro mensile dei giovani per l’anno 2014/15 svoltosi domenica 19 ottobre 2014 a Paravati si è diversificato in tre momenti: lo sviluppo in mattinata di due tematiche, che saranno ampliate nel corso dell’anno, Le case di Maria e Il testamento spirituale di Natuzza Evolo e nel pomeriggio la testimonianza dell’attrice Beatrice Fazi.
Le case di Maria è un viaggio attraverso le abitazioni che Maria ha utilizzato nel corso della vita a partire dalla casa dell’Annunciazione e continuare via via a tutte le altre. «L’azione di Dio – ha espresso nell’incontro Padre Michele Cordiano – non si svolge al di fuori dell’azione umana, non costruisce un’altra storia con persone create apposta. Cade invece nel tessuto normale degli avvenimenti, Dio prende questo mondo così com’è e realizza le sue promesse, ma partendo dalle periferie. Maria è la donna delle periferie. La prima immagine evangelica di Maria è quella di una ragazza a “casa propria”, ma la casa, in realtà, è Maria stessa che accoglie l’annuncio di Dio su di sé facendosi dimora e nella quale il Misericordioso senza casa trova casa».
La seconda tematica sviluppata è stato Il Testamento spirituale di Mamma Natuzza fatto conoscere per volere della Madonna l’11 febbraio 1998. Ad esso si incardina tutta la missione di Natuzza Evolo, a partire da quel 26 luglio 1940, “il giorno più bello della mia vita” dirà sempre, in cui il Signore ha espresso quale sarebbe stata la missione dell’umile donna di Paravati: portargli anime. Nel 1944 in un’apparizione mariana la mistica disse alla Madonna: “come vi ricevo in questa casa brutta? Lei mi ha risposto: Non ti preoccupare, ci sarà una nuova e grande chiesa che si chiamerà Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime e una casa per alleviare le necessità di giovani, di anziani e di quanti altri si troveranno nel bisogno”. Dopo diversi anni, precisamente nel 1986, la Vergine ha espresso il desiderio che si iniziasse a lavorare per la Sua opera: nasce l’Associazione poi trasformata in Fondazione, che Natuzza stessa considererà “la sesta figlia, la più amata”, predisposta per portare avanti la costruzione della chiesa, il centro anziani, la casa per i malati terminali e le altre strutture annesse alla Villa della Gioia.
Terzo momento dell’incontro è stata la testimonianza di fede, che ha visto come ospite l’attrice Beatrice Fazi diventata popolare per i suoi ruoli nella fiction Un medico in Famiglia e attualmente in onda ne Il restauratore su Rai 1. Beatrice vive stabilmente a Roma dove è sposata con Pierpaolo Platania da cui ha avuto tre figli: Maria Lucia (2002), Fabio (2003) e Giovanni (2007). Nell’esporre la personale esperienza l’attrice ha raccontato della gioia della conversione, del suo periodo lontano da Dio fino all’abbraccio della fede grazie alle occasioni e alle persone che lo Spirito Santo ha posto negli avvenimenti della sua vita; e di come la sua esistenza oggi sia dedicata interamente al Signore testimoniando agli altri la felicità dell’incontro con Cristo.

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Incontro Giovani Giugno 2014

Il giovane vestito di bianco

La pagina del vangelo di Marco (16, 1-20) inerente l’episodio delle tre donne che si recano alla tomba di Gesù ha fatto da guida all’ultimo incontro dei giovani programmato per l’anno 2013/14 dalla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime.
In particolare ci si è soffermati sulla figura del giovane vestito di bianco che Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome, quando di buon mattino si muovono per imbalsamare il corpo di Gesù, incontrano nel sepolcro.
Nell’andare si erano preoccupate di chi li avesse potute aiutare a rotolare il masso dell’ingresso della tomba; analoga situazione vive l’uomo d’oggi che da solo fatica a ribaltare la "pietra" che porta nel proprio cuore: pietra di peccato, di amarezza, di delusione. È Dio allora che interviene, là dove non sembra esserci certezza, il Signore viene incontro e dà speranza alla vita.
L’angelo-giovane vestito di bianco annuncia alle donne il messaggio centrale della nostra fede: Gesù è risorto! e sollecita, incita, spinge a non avere paura.
"Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo". Non temere di proclamare il Vangelo, di andare controcorrente, di dire sì a quel Gesù che riempie il tuo cuore di gioia vera, fidati di Lui fino in fondo perché è il solo che non delude mai.
Durante la giornata, a cornice della pagina evangelica, si sono susseguite diverse testimonianze.
Quella di mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo in Siria, che a fronte della sua decennale esperienza nei territori ora oggetto di una sanguinosa guerra, ha spiegato le ragioni geo-economico-politiche del conflitto; uno scontro senza fine che da quattro anni sta interessando le popolazioni di una delle regioni, qualche tempo addietro, più fiorenti del Medio Oriente portando morte, distruzione e violenza a motivo di una subdola politica di interesse "neocolonialistico" che tutto piega alle logiche commerciali di quell’Occidente che intende "imporre" le proprie categorie mentali a discapito delle esigenze e dei bisogni degli autoctoni.
Un ulteriore intervento è stato proposto nell’incontro testimonianza dalla prof.ssa Maria Luisa De Luca per conto dell’Associazione Lutto e Crescita Grief & Growth, un’associazione di psicologi e psicoterapeuti con una formazione specifica nell’ambito dell’elaborazione del lutto e del trauma.
«L’esperienza del lutto – ha dichiarato Maria Luisa De Luca – ma anche della perdita e degli eventi traumatici segna la vita di ciascuno e spesso ci accorgiamo di non essere preparati ad affrontare il dopo l’evento con tutto il suo carico di dolore. L’associazione offre un sostegno a coloro che vogliono prendersi cura del processo trasformativo che parte dall’accogliere il dolore e prosegue con la sua trasformazione in un motore di crescita e cambiamento».
Infine si è svolta la presentazione del libro di Federica Lisi per i tipi Mondadori Noi non ci lasceremo mai. Federica è la moglie di Vigor Bovolenta una grande sportivo pallavolista, campione della nazionale italiana la cui maglia ha indossato per ben 203 volte. Vigor è morto il 24 marzo del 2012 durante una partita a 36 anni. Il suo cuore ha ceduto lasciando Federica con cinque figli. Il libro racchiude quindici anni di esperienza matrimoniale insieme; nel suo intervento, accorato e denso di emozione, Federica ha ricordato quanto trascorso a fianco del campione di pallavolo dichiarando come Vigor
«se n’è andato restando dentro la mia vita. Restando la mia vita».

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Incontro Giovani Aprile 2014

Il giovane che ritorna alla vita

Il Cristianesimo è una persona, una presenza: Gesù, che dà senso e pienezza alla vita dell’uomo raccontava San Giovanni Paolo II ai giovani della Svizzera; è quello stesso Gesù che ogni giorno e da duemila anni ad ogni giovane, ad ogni uomo con insistenza dice: “Alzati!, rivestiti di me ritorna alla vera vita, solo Io posso darti la gioia piena.
Queste stesse parole sono state riprese nell’incontro dei giovani tenutosi alla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime il 27 aprile, domenica in albis Festa della Divina Misericordia, prendendo spunto dall’episodio del giovane di Nain. Una vicenda, raccontata dall’evangelista Luca (11-17), nella quale il Signore manifesta tutta la sua potenza riportando alla vita un giovinetto morto, tanto da far esclamare alla folla che accorre: un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo.
L’episodio in questione accade in un villaggio chiamato Nain non molto distante dal monte Tabor. Gesù insieme ai discepoli e alla grande folla che lo seguiva, sicuramente ripagata dai suoi insegnamenti e dalle sue parole, incrocia un corteo funebre. Vita e morte, rappresentate dal Figlio di Dio e dal peccato, si accostano nell’esistenza quotidiana di ogni persona. Le due possibilità fanno parte del percorso dell’uomo, chiamato a scegliere tra una realtà di gloria e una realtà di dolore, a preferire la gioia alla tristezza, la speranza all’angoscia, la vera Vita  alla dannazione eterna.
A fianco al morto, figlio unico camminava sua madre vedova e Gesù sente compassione per questa donna già provata dalla perdita del marito e senza il figlio costretta, secondo le usanze del tempo, a rimanere senza dignità, senza ruolo sociale. È la certezza che il Signore non abbandona i suoi figli anche quando sono intrisi di peccato o sull’orlo della perdita della propria esistenza, patisce con noi e ci esorta a ritornare a Lui.
Non piangere dice alla donna; non disperare, continua a dire all’uomo di oggi, non perdere la speranza in un futuro proteso all’eternità, non lasciarti accaparrare dalle seduzioni del male che inibiscono il tuo senso cristiano della vita per condurti già da adesso, nell’esistenza terrena, nel baratro del nulla.
Nonostante il peccato o la insoddisfazione frutto del vizio ci faccia sentire lontani da Dio, il Signore si accosta alle nostre miserie senza paura di contaminarsi e ci esorta a lasciarci riconciliare; ci tende la sua mano potente che può rialzarci da qualsivoglia situazione di peccato. Ci dice: “Alzati!”, Io sono con te, non ti lascio solo. Ragazzo, uomo, donna, giovane, anziano malgrado la tua vita sregolata, non rimandare l’incontro con Dio, solo Lui può fare di te un essere felice.
È il Dio della pazienza il Signore, che non si scoraggia difronte i nostri costanti dietrofront e che attraverso la sua Parola, i suoi testimoni, attraverso soprattutto il sacramento della Conversione che realizza sacramentalmente l'appello di Gesù alla conversione, cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato (Catechismo 1423), ribadisce: dico a te, alzati!

Nella parte pomeridiana dell’incontro dei giovani è stato ospite Claudio Gubitosi ideatore e direttore artistico del Giffoni Film Festival, evento cinematografico giunto quest’anno alla quarantaquattresima edizione. Gubitosi, nel suo intervento, ha raccontato la nascita dell’appuntamento, le caratteristiche che lo contraddistinguono rendendolo unico nella sua specificità. Nato per promuovere e far conoscere il cinema per ragazzi è diventato nel tempo un’attrazione culturale apprezzata in tutto il mondo dove i ragazzi, i bambini e gli adolescenti restano i protagonisti indiscussi; un fermento educativo che porta nella cittadina in provincia di Salerno migliaia e migliaia di visitatori e che fa dell’evento uno dei momenti più interessanti nel panorama cinematografico mondiale.  



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Incontro Giovani Marzo 2014

Il giovane del  lenzuolo

La tematica "Il giovane del lenzuolo" ha caratterizzato domenica 23 marzo, terza domenica di quaresima, l’appuntamento mensile dei giovani svoltosi alla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime. Il passo del Vangelo di Marco (14, 51-52), unico degli evangelisti a citare l’episodio in questione, si riferisce al momento in cui Gesù nell’orto degli ulivi, tradito da Giuda, viene raggiunto dalla folla accorsa per arrestarlo e condurlo al giudizio. In questo preciso contesto, quando tutti gli amici abbandonano Gesù fuggendo, un giovanetto lo seguiva rivestito soltanto da un lenzuolo e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.  
Poche parole sono dedicate da parte dell’Evangelista a questa figura che all’apparenza potrebbe apparire marginale. Il giovanetto segue Gesù. L’atto del seguire presuppone un atteggiamento concreto e reale del cuore; fa diventare la persona protesa verso qualcuno, quella personalità che coglie il nostro interesse, la nostra curiosità. Gesù per questo giovane non è un estraneo, perché lui lo segua riconosce nel Figlio dell’Uomo l’Autorità; è dunque un suo conoscente, uno di cui avrà già sentito parlare o che avrà già sentito parlare e udendo i suoi discorsi ne sarà rimasto affascinato.
La sua sicuramente è una scelta controcorrente: quando tutti scappano, lui continua a seguire Gesù. L’evangelista ci parla però non soltanto della decisione di seguire il Signore, ma anche della condizione in cui questo giovane si trova: rivestito soltanto da un lenzuolo. Il lenzuolo che copre il corpo del giovane rappresenta la fede del ragazzo, una fede ancora in fieri, debole che di fronte alla prima difficoltà della vita cede il passo alla paura. Separandosi da ciò che può renderlo felice, abbandona perfino la speranza per fare spazio allo scoraggiamento.
Anche per lui si fa "notte", come per Gesù il giovedì santo si conclude con l’arresto e l’inizio della Passione, per il giovane seguace è la notte della vita. Fuggire da Cristo è l’inizio delle pene per l’uomo, è il principio di una crudele sofferenza dell’anima; è abbandonare il desiderio e la certezza che solo Dio può renderti felice, ricompensandoti, per l’eternità.
Lascia il lenzuolo allora, tutto quello che al momento possiede; si separa dalla sua flebile fede al primo attacco del Male e incurante abbandona l’allegria della sua gioventù, l’audacia della sua età che gli aveva consentito di seguire il Signore fino quasi alla fine. È mancata proprio a un passo dalla meta l’arditezza che viene da una fede solida, che solo si ha parlando a Cristo cuore a cuore.
Ma se l’uomo abbandona il Signore va alla ricerca. Non curante dei nostri errori apre sempre l’incommensurabile sua misericordia per farci riconciliare e ritornare fra le braccia del Padre; ci avvicina, si addossa le nostre miserie e ci ricorda che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione (Lc 15,7).
Nel pomeriggio l’incontro dei giovani è stato animato dalla testimonianza di Don Alfonso Guijarro Garcìa sacerdote dell’Opus Dei. Don Alfonso, di origine spagnola, ha parlato dello spirito dell’Opus Dei ricordando come il cristiano debba santificarsi nel quotidiano servendo Dio e tutti gli uomini. Nella famiglia, nel matrimonio, nel lavoro, nell’occupazione di ogni momento, in tutte le occasioni della vita in pratica il seguace di Cristo imita il suo Salvatore cercando di praticare la carità, la pazienza, l’umiltà, la laboriosità, la giustizia, la gioia e in generale tutte le virtù umane e cristiane.



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Incontro Giovani Febbraio 2014

La ragazza marionetta

Essere giovani oggi e somigliare a Salomè, giovane di duemila anni fa. Un paragone che all’apparenza sembra azzardato vista la distanza cronologica. Eppure possono emergere tante analogie tra le condizioni di vita della principessa giudaica figlia di Erodiade, plagiata da questa madre pervasa da un’esistenza dettata dall’odio e dalla menzogna e i giovani d’oggi a volte trasportati dalle onde aleatorie della moda, del momento, sballottati e trascinati in questo nostro tempo dove si sente ma non si ode, si guarda ma non si riesce a vedere e cogliere l’Essenziale.
Ogni persona nella propria singolarità è un unicum di Dio, è ai suoi occhi un evento straordinario; Lui ci ha plasmati pensando ad ogni creatura originale e irripetibile. E questa originalità, che cammina a stretto connubio con le personali capacità di discernere, si manifesta nella possibilità che ciascuno ha di determinare se stesso, quella che è la nostra vita, preferendo tra ciò che ci indirizza sui percorsi che convergono verso Cristo e quanto invece è permeato dal dubbio, dall’indifferenza, dalla diffidenza. Essere con Dio è sapere invece scorgere con gli occhi limpidi della fede, dunque del cuore, è vedere oltre quanto recinge i nostri limitati orizzonti, è sapere andare controcorrente.
«Seguire Cristo è andare oggi controcorrente – ci ricorda infatti Papa Francesco –; quanti uomini retti preferiscono rimanere originali, pur di non rinnegare la voce della coscienza e della verità! E noi, non dobbiamo avere paura! A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, valori come il pasto andato a male e quando un pasto è andato a male, ci fa male; questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani siate i primi: Avanti, siate coraggiosi e siate fieri di farlo!».
Essere giovani allora ed essere soggetti a chi, per i propri interessi o convenienze, può pensare di manipolarci come marionette; diventare adulti e pur avendo incontrato Cristo non volerlo testimoniare preferendo restare anonimi spettatori in un tempo che vuole tutto diventi omologazione.
Nel corso dell’incontro il vice direttore di Avvenire Gianfranco Marcelli ha voluto rendere partecipi i
presenti del suo percorso di fede, testimoniando l’incontro sconvolgente con Cristo che ha invaso la sua vita fino a farlo diventare uomo nuovo. È necessario – ricordava Marcelli – che il cristiano riesca a difendersi dagli attacchi indiscriminati che da più parti si levano contro la “persona”; reagisca a quella strategia sottesa, ma ben presente nella società odierna, che tende alla distruzione dell’uomo togliendogli la forza di vivere. Bisogna quindi alimentare quanto più possibile la fede che è baluardo di difesa interiore, rispondendo così alle vicissitudini del quotidiano. Il tutto attraverso una delle peculiarità per eccellenza del cristiano: l’umiltà, che è l’antidoto per superare ogni tipo di avversità, rendendo anzi le umiliazioni, le mortificazioni il mezzo per fortificare il nostro essere.
Ecco la Buona Notizia: incontrare Cristo; testimoniandolo vivremo la giovinezza del cuore perché presi costantemente dall’Amore, protesi verso l’Amato.



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Incontro Giovani Gennaio 2014

La Giovane della porta

«Chi sono io per fare aspettare Dio fuori la mia porta, anche se questa è la porta del cuore? Ho capito oggi che devo farlo entrare, voglio che entri, che mi faccia compagnia; solo insieme a Lui posso superare ogni difficoltà e dare un senso alla mia vita. Sì, il mio egoismo non mi ha permesso di aprirgli il cuore, dando me stessa, ma ora non voglio più che Gesù aspetti fuori dalla porta del mio cuore a bussare».
Con queste parole suggerite ad un’amica una ragazza, tra le tante presenti, ha concluso il 19 gennaio scorso il terzo incontro dei giovani organizzato dalla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime e avente come titolo La giovane della porta. Il brano del Vangelo di Giovanni (cap.18, 15-18) che ha fatto da guida alla giornata parla tra l’altro di una giovane portinaia che si occupava di badare alla porta del palazzo del sommo sacerdote Anna. Una ragazza ebrea, osservante della legge, che quel Giovedì Santo apre la porta ad un condannato speciale: Gesù di Nazaret. È probabile che questa giovane conosca Gesù, lo fa entrare nel cortile del palazzo dove avverrà il primo interrogatorio del suo processo – ha spiegato padre Michele Cordiano nella sua lectio – ma non farà di più… Non nello svolgere il suo ruolo di portinaia, non riuscirà piuttosto a compiere la cosa più importante, quello che tante persone avevano deciso incrociando il Signore: permettergli di farlo entrare dalla porta del proprio cuore, sconvolgendo con l’Amore la loro vita.
Alla diffidenza di una ebrea di duemila anni fa, è facile corrispondere l’incredulità dell’Uomo di oggi che pervaso da un disinteresse diffuso oppone una barriera tra la sua esistenza terrena e il Divino che con tenerezza, senza alcuna intrusione forzata, chiede amabilmente di poter entrare nella nostra vita. L’Uomo di oggi si sente onnipotente, capace con le proprie forze di dominare tutto e tutti; fin quando alla prima vera difficoltà della vita, non avendo "costruito la sua casa sulla roccia" (Mt. 7,21), sprofonda nel baratro della disperazione. Dio però ha pazienza, non si impone nell’esistenza umana; si propone piuttosto in punta di piedi come un povero, un mendicante; Lui che conosce le nostre angosce, le nostre debolezze e incertezze viene non a chiedere, ma a dare se stesso offrendo pace, sollievo, speranza.
Dio sa di cosa abbiamo bisogno, nonostante ciò bussa con grande rispetto e il suo invito è espresso di continuo, in ogni circostanza della vita anche con il supporto di altre persone che ci stanno a fianco. Quotidianamente, a tutte le ore, presenta la sua proposta d’amore. All’Uomo è richiesta una condizione fondamentale: la capacità d’ascolto. L’ascolto di quanto Dio vuole rivelarci si esplicita attraverso una fiducia incondizionata nella sua parola, nella speranza in Colui che solo vuole il nostro bene. Cosa possiamo fare se non testimoniare questo incontro?

I lavori pomeridiani hanno avuto inizio con la recita della coroncina alla Divina Misericordia e di seguito si è svolto l’intervento di alcuni volontari e maestranze dell’Operazione Mato Grosso, l’organizzazione alla quale sono stati affidati dalla Fondazione i lavori di costruzione degli arredi della Chiesa del Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime. L’O.M.G. è un movimento che si propone l’educazione dei giovani attraverso il lavoro gratuito per i più poveri in alcuni paesi dell’America Latina. I giovani realizzano Lavori di Gruppo durante i giorni della settimana e, nei fine settimana, Campi di lavoro. Questi ultimi vedono i giovani impegnati in raccolte di carta, rottami e altri materiali da macero; o come operai in lavori agricoli, di costruzione, di pulizia di sentieri, di costruzione e gestione di rifugi di montagna.
I punti chiave dell’O.M.G. sono: 1. Lavorare anziché discutere; 2. Il gruppo è fondamentale perché lavorando insieme le persone maturano; 3. Rompere il guscio della famiglia, della parrocchia, della nazione: è essere missionari; 4. L’O.M.G. critica con i fatti e non con le parole; 5. Bisogna "pagare di persona", essere coerenti, farsi poveri; 6. Essere buoni; 7. Morire per gli altri sacrificandosi con amore.
"Fare la Carità è il nostro lavoro – sono le parole di P. Ugo De Censi fondatore dell’Operazione Mato Grosso –. Siamo travolti dalle richieste perché al bussare abbiamo aperto la porta, ci siamo commossi e non siamo più riusciti a chiuderla perché non abbiamo messo orario per quando si può bussare".

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Incontro Giovani Dicembre 2013

Il ragazzo dei pani e dei pesci

Il tema della condivisione, suggerito dal passo del vangelo di San Giovanni che richiama l’episodio della moltiplicazione dei pani, ha fatto da linea guida all’incontro dei giovani del 22 dicembre scorso. Condividere accostando le diverse umanità per una crescita comune deve divenire la via privilegiata per il cristiano che non si chiude nella propria individualità; anzi, attraverso un’adesione condivisa, rende partecipe dei doni ricevuti dal Signore chi gli sta accanto facendo fruttare i suoi talenti.
La salvezza per il cristiano è intimamente legata dunque oltre che al rapporto con Dio anche con i fratelli. "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" ci ricorda Matteo al capitolo 7; e proprio questo aspetto si traduce inevitabilmente nella capacità di darsi agli altri, condividendo quanto abbiamo e traducendo questi sforzi con gesti e atti di carità che ci dirigono, ci convogliano verso la Porta della Salvezza per eccellenza: Cristo Gesù.
Condividere, donarsi agli altri, elargire gesti di carità: quello che fece Maria nel recarsi presso Santa Elisabetta in attesa; Lei la prescelta, pur essendo già piena della missione che Dio Le aveva riversato, eppure così umile nel partecipare alla cugina la sua disponibilità, offre sostegno fisico e morale attraverso la carità del servizio nascosto e silenzioso.
All’incontro dei giovani, nella sessione pomeridiana, sono intervenuti Padre Salvatore Scorza fondatore delle Apostole e degli Apostoli della Vita Interiore insieme a Tiziana e Janel due appartenenti alla comunità istituita dal sacerdote di origine calabrese nei primi anni novanta. Parlando della congregazione Padre Salvatore ha ricordato che «la sua nascita è scaturita dal voler condividere con altri l’amore per la Verità. La mancanza di pratica religiosa – ha continuato il sacerdote – così comune nel nostro tempo, nasce soprattutto dall’ignoranza e dall’impossibilità di fare una vera esperienza di Dio. C’è bisogno, allora, di giovani consacrati e consacrate con un’intensa vita di preghiera e con una solida preparazione filosofica e teologica che “cerchino” i loro fratelli lì dove sono e li conducano a incontrare Dio attraverso un accompagnamento spirituale». È nell’esperienza pastorale negli Stati Uniti che padre Salvatore inizia a concretizzare l’idea di costituire una comunità; prima Susan poi Tiziana, pian piano altre scoprono la vocazione di servire il Signore. Iniziano le proposte di missioni in alcune parrocchie di Roma dove le Apostole studiano e vivono, nasce intanto un piccolo gruppo di coppie amiche che si riuniscono periodicamente per riflettere sulla Parola di Dio.
«Al centro della spiritualità delle Apostole e degli Apostoli della Vita Interiore è la figura di Cristo Sacerdote. Dio è Amore. L’amore per sua natura tende alla comunione; perciò Dio nella sua vita intima è comunità di Persone. Egli ama a tal punto la creatura, creata a sua immagine e somiglianza, da volerla riportare a sé per introdurla nella vita di Comunione delle tre Persone. La via per riportare l’uomo al Padre nella Comunione dello Spirito Santo è Cristo stesso attraverso il suo Sacerdozio. L’Apostola della Vita Interiore segue lo stile di vita di Gesù illustrato anche da S. Tommaso d’Aquino: “La vita attiva con la quale uno, predicando e insegnando, comunica agli altri le verità contemplate, è più perfetta della vita in cui si contempla soltanto, in quanto presuppone l’abbondanza della contemplazione. E così Cristo scelse questo genere di vita” (S. Th. p. III , q. 40, art 1). Gesù, come unico ed eterno sacerdote, mediatore tra Dio e l’uomo, è l’Apostolo per eccellenza. Il sacerdote, come continuatore della missione sacerdotale di Cristo e per assimilazione a Lui, è nella Chiesa apostolo per eccellenza. Il Sacerdozio ministeriale riguarda direttamente l’Apostolo della Vita Interiore ma non l’Apostola della Vita Interiore. L’Apostola prepara le persone perché possano essere soggetti sempre più disponibili al servizio ministeriale del sacerdote. L’Apostola intende perciò valorizzare il sacerdozio comune che scaturisce dal battesimo e viene potenziato dalla sua consacrazione personale attraverso la pratica dei consigli evangelici. L’Apostola privilegia l’impegno per la formazione interiore e vuole imitare Gesù, anche nella maniera concreta in cui Egli svolse il suo apostolato: annuncio del regno attraverso la parola, diffusa a livello dei gruppi e a livello personale».


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Incontro Giovani Ottobre 2013


Il giovane ricco” è stata la tematica che ha animato il primo incontro dei giovani presso la Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime il 20 ottobre scorso.
Anche gli argomenti delle tappe successive avranno come oggetto principale i giovani del Vangelo, esattamente I sette giovani del Vangelo, per intraprendere insieme ai partecipanti un dialogo che, partendo dalle questioni che ruotano intorno al mondo della giovinezza, possa condurli a meditare sugli insegnamenti di Gesù. Ciò a riprova di come difronte alla Parola di Dio ciascun individuo, senza alcuna esclusione, sia esso giovane o adulto, può trovare risposte indubitabili rispetto al personale percorso di vita.
Ad inizio giornata i giovani si sono ritrovati nella cappella che custodisce l’effige del Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime per affidare alla Vergine Maria i lavori del giorno; ha fatto da introduzione la lettura di uno stralcio di un discorso di Papa Francesco alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro che sollecita i giovani a mettere Cristo al centro della loro vita: “Metti Cristo” nella tua vita. Lui ti attende: ascoltalo con attenzione e la sua presenza entusiasmerà il tuo cuore; “Metti Cristo”: Lui ti accoglie nel Sacramento del perdono, con la sua misericordia cura tutte le ferite del peccato. Non avere paura di chiedere il perdono a Dio perché Lui nel suo grande amore non si stanca mai di perdonarci, come un padre che ci ama. Dio è pura misericordia! “Metti Cristo”: Lui ti aspetta nell’Eucarestia, Sacramento della sua presenza, del suo sacrificio di amore…”.
Il secondo momento della mattinata si è svolto nella cappella sinistra della chiesa in costruzione – la cappella adibita alle confessioni e ormai quasi in fase di realizzazione finale – con la lettura del passo evangelico incentrato sul “giovane ricco” (Mc 10, 17-22) e la successiva lectio di Padre Michele Cordiano. Sono seguiti i lavori di gruppo, dove i giovani sono stati divisi per fasce d’età, con l’intento di condividere quanto ascoltato dal sacerdote, contestualizzandolo soprattutto nella propria esperienza di vita.
Nel pomeriggio, prima della Santa Messa, si è dato spazio alla testimonianza del giorno: quella di Pietro Maso, l’allora diciannovenne che nel 1991 si è reso protagonista di un grave fatto di sangue e che grazie all’intervento di un sacerdote, don Guido Todeschini, e di Mamma Natuzza è riuscito nel carcere ad arrivare alla conversione del cuore superando il suo passato, scoprendo così la vera Vita, da giovane morto e dannato qual era.


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